Roma - Se alle 12 si poteva parlare solo di una lieve flessione, alle 22 il calo dell’affluenza alle urne è piuttosto netto. Nella giornata di ieri, infatti, ha votato il 62,54% degli aventi diritto contro il 66,53% di due anni fa, insomma il 3,99% in meno. Insomma, il 4% in meno. Un trend iniziato già con la prima rilevazione - che a mezzogiorno faceva registrare una diminuzione dei votanti dell’1,27% (il 16,35 contro il 17,63) - e confermato dal dato delle 19 (-3,47%).
Ed è proprio sul deciso calo dell’affluenza alle urne che si arrovellano per tutta la giornata non solo gli sherpa di Berlusconi e Veltroni, ma pure le società di sondaggi che si stanno preparando alla lunga maratona elettorale di questa sera e che hanno già iniziato ad aggregare i primi exit pool. Fino a ieri, infatti, gli analisti hanno raccontato - numeri alla mano - di un popolo dell’astensione che si aggira intorno al 30% e che gioca soprattutto nel campo del centrosinistra. Insomma, più è basso il numero dei votanti più ne avrebbe da guadagnare il Cavaliere. Colpa del grillismo, dei «tradizionalisti» fedeli alla vecchia scuola ex Pci e ostili ai «ma anche» veltroniani. Tanto che nella settimana prima del voto - su pressing dei maggiorenti del Pd - l’ex sindaco di Roma ha deciso di alzare i toni contro il Cavaliere. Il buonismo, spiegava Goffredo Bettini, «mi ha rotto le scatole». Eppoi, ragionava il ministro Paolo Gentiloni, se non si inaspriscono i toni su Berlusconi «gli indecisi restano a casa». Insomma, nel rush finale della campagna elettorale la strategia di Veltroni è stata quella di «picchiare duro» nel tentativo di portare alle urne gli ancora tanti indecisi del centrosinistra. Eppure, è vero che può valere anche il ragionamento inverso. Perché - facevano presente ieri al Loft di Sant’Anastasia - nel 2006 il Cavaliere è riuscito a portare alle urne molti elettori di centrodestra che normalmente si astengono con una campagna elettorale «all’ultimo sangue». E non è escluso, dunque, che oggi molti di loro decidano di tornare a disertare il voto.
Alle 15 Rai, Mediaset e Sky saranno invase dai primi exit poll (i dati sono in via di «aggregazione» già da ieri mattina) e si potrà iniziare a capire chi ha davvero ragione. Di certo, colpisce che al timore più volte manifestato nell’ultima settimana dai vertici del Pd sul rischio astensione tra gli elettori di centrosinistra si sommi un deciso calo dell’affluenza soprattutto nelle regioni e nelle città «rosse». Il dato delle 22 infatti, fa registrare il -4,75% dei votanti in Toscana, il -4,86% in Emilia Romagna, mentre l’Umbria resta sulla media nazionale con il -3,96%. Con un vero e proprio crollo in alcune roccaforti storiche del centrosinistra come Livorno (-5,31), Lucca (-5,92), Bologna (-5,21%), Ravenna (-5,62), Reggio Emilia (-4,66). E al Nord pure nella Torino di Piero Fassino il calo arriva al 5,92% mentre a Genova tocca il 7,11%.
Discorso simile per le regioni considerate in bilico nella decisiva partita del Senato.
Abruzzo, Lazio, Liguria e Sardegna, infatti, sono considerate dai sondaggisti too close to call. E in Abruzzo il calo è del 4,22%, nel Lazio del 5,1, in Liguria addirittura del 6 e in Sardegna del 5,48. Come per le regioni «rosse», dunque, un’affluenza decisamente più bassa della media nazionale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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