Quell'oro perfetto di Jury Chechi alle Olimpiadi di Atlanta '96

Quasi trent'anni da quella sequenza che gli valse il punteggio di 9.887: la rivincita del "Signore degli anelli" dopo lunghi mesi di sofferenza

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Sei del mattino di un afoso 29 luglio del 1996. Al governo c'è Romano Prodi, pochi mesi prima hanno clonato la pecora Dolly e un paio di settimane fa Martina Hingis è diventata la più giovane campionessa di Wimbledon nel doppio femminile. Fatti sparsi che rischiano di passare in secondo piano rispetto a quello che sta per succedere adesso.

Moka che sfrigolano sforzandosi di resuscitare corpi rattrappiti dal sonno. Però bisogna svegliarsi e rimanere ben concentrati davanti alla tv. Danno le Olimpiadi di Atlanta sulla Rai. Dall'altra parte dell'oceano c'è un atleta che viene dalla provincia italiana, Prato, ha ventisette anni e da quattro attende questo momento. Perché Juri Chechi era indicato come il favorito per la medaglia d'oro all'esercizio con gli anelli già alle Olimpiadi di Barcellona 1992. Solo che un mese prima si rompe il tendine d'achille e addio sogni di gloria. Serve curarsi, riabilitarsi e poi coltivare di nuovo quell'obiettivo, con dedizione feroce. Ma quanto possono essere interminabili, quattro anni.

Lui li trascorre tutti allenandosi per quella manciata di istanti. Il suo percorso val bene qualche manciata di sbadigli. Anche perché se c'è una specialità in cui l'Italia può fare bene ed un atleta ci rassicura, quello è proprio Jury. Così, mentre migliaia di italiani intingono biscotti o brioches in tazze ricolme di latte o caffè, Chechi si avvia in pedana, al Centennial Olympic Park. Pubblico in liturgico silenzio, anche dalle cucine e dai salotti di casa. Lui scruta i due anelli ai quali dovrà aggrapparsi: anche se è alto poco più di 160 centimetri, adesso è chiamato a salire in quota.

Mani impastate. Capello dritto e canotta azzurra. Sbuffo propiziatorio. In un'esecuzione di meno di un minuto c'è condensato il sacrificio di anni. Jury lo sa e si solleva deciso. Da lì inizia una sequenza pulita, esente da sbavature, i muscoli tesi, lo sguardo ferocemente concentrato. La gente sugli spalti infrange quel muro di silenzio soltanto per applaudire le figure perfette ce Chechi riesce a disegnare con i suoi volteggi. Poi tutti trattengono il fiato per quella "croce" assolutamente nitida, terrificante eppure perfetta: il Signore degli anelli la esegue quasi senza sforzo, senza tradire la minima esitazione.

Fino a quell'atterraggio sicuro, gli occhi che finalmente brillano di soddisfazione, le labbra che si allargano in un sorriso. Anche il commentatore Rai si lascia andare ad un'esultanza incontenibile: "Non ci possono essere dubbi, questo è un esercizio da oro!". Giusto il tempo di attendere il verdetto della giuria, che si tradurrà in un gigantesco 9.887. Tutto vero. Medaglia d'oro per Jury e per l'Italia, la prima nella ginnastica dopo quella vinta da Franco Menichelli a Tokyo, nel 1964.

Si applaude e ci si alza in piedi tanto allo stadio, quanto nelle case degli italiani.

Mai sveglia all'alba fu impostata meglio. Una palpebra calante è più che giustificata se il premio è essere stati testimoni oculari, seppur dietro uno schermo, di uno di quei rari momenti in cui la storia si compie.

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