Forse mi sono distratto, ma non ho sentito una sola autocritica, in questi giorni di caos nordafricano, sul colonnello Gheddafi. Intendo un ragionamento, una riflessione da parte di quanti - politici e giornali - hanno sputato veleno contro il leader libico, per via dei suoi rapporti amichevoli con il Presidente Berlusconi.
Soltanto per questa colpa, apparentemente, Gheddafi è diventato l’uomo nero, secondo la vulgata della nostra opposizione, durante la sua storica visita di riappacificazione. Incredibile, tanto più che, per anni, era stato una delle icone della resistenza antiamericana e anti israeliana, a detta degli stessi partiti e degli stessi soggetti. Miracoli italiani, nel paese dove ho visto matti che preferirebbero il diluvio, se solo gli dicessero che Silvio Berlusconi ha voglia di prendere un’ora di sole. Maniaci, autolesionisti, ma torniamo a Gheddafi, come direbbe il compagno D’Alema (che invece il colonnello lo apprezza), «alla luce dei fatti di Egitto e Tunisia». A occhio, è rimasto l’unico nostro alleato certo ed affidabile sulle coste nordafricane, a poche ore di barca e a tiro di missile dalle nostre spiagge. E, se si considera anche soltanto l’influenza di queste crisi sui mercati del petrolio e del gas, è una bella fortuna che il nostro Presidente del Consiglio abbia un forte rapporto personale, oltre che politico, con il leader libico.
Per fortuna, che c’è Gheddafi. Altro che leader autoritario, poco rispettoso delle donne. Sono barzellette buone per una sinistra italiana rincitrullita ed incanaglita. I leader autoritari li abbiamo visti più da vicino in Tunisia ed Egitto ed oggi, dietro la sbornia degli inni alla santa rivolta popolare, in Occidente pregano di non doverli addirittura rimpiangere. La grande paura è, che in altre parti del mondo islamico, si segua l’esempio di Teheran. Anche in Iran, nel 1979, la rivolta fu eroica e popolare. La lotta di Liberazione contro i soprusi dello Scià divenne la bandiera della nostra sinistra e perfino gli Usa, guidati dal democratico imbelle Carter, favorirono la naturale fuga del loro alleato più importante. Poi, vennero Khomeini e gli ayatollah e sappiamo come è finita con i loro successori: siamo appesi ad un filo dal riarmo atomico, col terrorismo rilanciato e finanziato in mezzo mondo. Può succedere anche in Tunisia e in Egitto? Gli esperti si dividono. In Tunisia, dicono, è tornato dall’esilio il principale leader integralista islamico ed il potere ufficiale, dopo Ben Alì, è debole e diviso. In Egitto, invece, è molto forte l’esercito e l’apparato militare, che potrebbe opporsi alla leadership politica dei Fratelli Musulmani che, per chi non lo sapesse, sono tra gli antenati dell’integralismo di Bin Laden e Al Qaeda. Insomma, il peggio può succedere ed Israele già avverte il mondo distratto, come in altre precedenti terribili occasioni.
Gheddafi lo sa per primo e meglio di tutti: per questo motivo da qualche anno ha deciso la svolta che lo ha riportato verso l’Occidente, fino a chiedere ed ottenere dall’amico Berlusconi di sedere a tavola in una cena ufficiale al fianco del Presidente Obama. E, per chi non l’avesse notato, la famosa rievocazione del martire libico trucidato dall’esercito fascista, era l’icona di un nazionalismo assolutamente diverso da quello integralista. Sfumature incomprensibile per chi, in Italia, gioca al «Tutti contro Berlusconi», anche a scapito degli interessi nazionali. Si insulta il colonnello, salvo aggrapparsi ai carri dei generali egiziani, si cita la Tunisia per paragonare in modo grottesco Ben Ali al Presidente del Consiglio. La sinistra italiana è vacua da almeno vent’anni: ha scelto la commedia, per far dimenticare le responsabilità nelle tragedia.
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