Altro che boss del Brenta Da oggi Felice Maniero è tornato un uomo libero

VeneziaLa faccia d’angelo gli è rimasta e da oggi la può portare in giro in totale libertà. Felice Maniero ha pagato il suo debito con la giustizia, come si usa dire. All’hard discount riservato ai pentiti, il boss della mala del Brenta aveva contrattato con i giudici una condanna tutto sommato mite, 17 anni invece di 25, in cambio di una collaborazione effettiva che permise di sgominare quel che restava della banda. Un tradimento per poter arrivare ad oggi, al giorno del nuovo inizio, dopo 37 anni vissuti pericolosamente, tra furti geniali, rapine epocali, omicidi efferati. Sì, Felicetto alla fine ha tradito, proprio lui che è stato ritenuto il killer di sette (lui ne riconosce cinque, alla mala del Brenta sono ascritti 17 omicidi) ex membri della banda rei, appunto, di aver tradito.
A 55 anni il bandito più temuto, e pure rispettato se diamo retta agli strani codici d’onore tacitamente in vigore tra guardie e ladri, si può dedicare a tenere in ordini i bilanci della propria impresa di casalinghi, in difficoltà a causa della recessione. Sissignori, Felicetto Maniero è un imprenditore che tiene i registri dell’Iva come un ragioniere, si arrabatta per fare utili. Da oggi può farlo in totale libertà, visto che scadono gli obblighi di soggiornare all’interno del comune di residenza, di rincasare entro le 11 di sera e di non uscire prima delle 6 di mattina. Basta, all’ex boss hanno restituito la verginità giuridica, fatta anche di un nome nuovo di zecca e di una residenza segreta. Gli resta la faccia d’angelo che l’età non riesce proprio a cancellare.
Certo, se uno guarda il suo curriculum fa fatica a concepire il passaggio automatico di Maniero dalla galera alla Camera di commercio. Sì, perché Felicetto di Campolongo Maggiore (Venezia) sta al Veneto e al Nord Est come Totò Riina di Corleone sta alla Sicilia. Con una differenza sostanziale: il boss della mala del Brenta aveva un’indiscussa propensione alle imprese clamorose, quasi scenografiche. Lui, che già a 18 anni aveva conosciuto l’umidità del carcere per via di uno stupido furto d’auto, decise di fare sul serio fin da subito. Colpi clamorosi come i due miliardi «vinti» al casinò di Venezia, il miliardo sgraffignato alle cassette di sicurezza di un hotel del Lido senza sparare un colpo, i 170 chili d’oro prelevati all’aeroporto Marco Polo di Venezia fino all’assalto al treno a Vigonza, con esplosione del vagone postale e tragico danno collaterale relativo alla morte di una ragazza che viaggiava in un altro treno in senso contrario: l'elenco è interminabile.
Che dire poi delle evasioni leggendarie dai carceri di Fossombrone e di Padova, nell’87 e nel ’94. Per arrivare alla resa definitiva, sempre nel ’94, di fronte al poliziotto Michele Festa, all’epoca investigatore della Criminalpol di Venezia, che lo riacciuffò dopo la fuga dal Due Palazzi di Padova. «Ancora tu?», disse uno spiritoso Faccia d’angelo quando vide Festa e capì che la fuga era finita. «Ma non dovevamo vederci più?», rispose un altrettanto pronto commissario, citando Lucio Battisti. «È sempre stato condizionato dalle donne e in particolare dalla madre - afferma Festa che oggi è sostituto commissario alla mobile di Verona -. Tutto quello che Maniero ha fatto nel suo passato non è mai stata una sua decisione autonoma, ma spinta da altri, dalle donne soprattutto». E due donne sono i ricordi più dolorosi dell’esistenza: Rosella Bisello, madre di suo figlio Alessandro, morta nell’88, e la figlia Elena, suicidatasi nel 2006.


«Da un certo punto di vista ora è un uomo nuovo - afferma il suo avvocato, Gian Mario Balduin - oltre che una persona molto provata». Chissà dov’è ora Felicetto, chissà come si chiama, chissà come festeggerà la ritrovata libertà. Chissà per quanto tempo riuscirà a rimanere in incognito. A 55 anni è ancora in tempo per combinare qualcosa di grosso.

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