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ALTRO CHE IDOLO DELLA LIBERA STAMPA

Chi l’ha vista? Qualcuno si chiede che fine abbia fatto la stampa estera. Dopo settimane di critiche a Berlusconi ieri per la prima volta i giornalisti internazionali avevano l’occasione di porre direttamente al premier le domande con cui per giorni hanno riempito i loro quotidiani. Ma nel faccia a faccia con Berlusconi nulla di quello che hanno scritto si è trasformato in domanda. Paura? Non crediamo. Forse imbarazzo. Non nei confronti del premier italiano, ma di quanto sta accadendo in Inghilterra, dove la polizia ha aperto un’inchiesta sul gruppo editoriale di Murdoch che avrebbe pagato per appianare le vicende legali dei suoi giornalisti. I giornalisti del gruppo Murdoch, infatti, secondo il quotidiano Guardian, mettevano nel mirino vip, politici, esponenti dell’establishment, e li sottoponevano ad un regime di sorveglianza con il loro nuovo modo di fare giornalismo: lo spionaggio telefonico. Sì, i vip venivano intercettati dai cronisti.
Alla faccia del giornalismo anglosassone. Ci hanno spiegato fino alla noia che quel modello era una scuola di stile, di eleganza, di forma. Che gli inglesi erano un’accademia liberale, una piccola Atene della carta stampata. Adesso scopriamo, in mancanza di altre prove, che sono spioni, clonatori di cellulari, violatori incalliti della privacy. E che oggi pagano per mettere a tacere tutto.
Per non parlare del vecchio zio Rupert, lo Squalo, il boss di News corp: lui fino a ieri era un gentleman, un baluardo della libertà di stampa. Non come quel perfido caimano di Berlusconi, illiberale e monopolista. Lui, che pure era nato nel ferro e nel fuoco come un capitano d’avventura australiano - ci spiegavano - era diventato un piccolo lord, un editore anglosassone rigorosamente rispettoso dei canoni più liberali. La prova? Era o non era Murdoch l’illuminato editore del Times, uno ben attovagliato al tavolo dell'aristocrazia degli inchiostri da stampa, il punto di riferimento della libera Repubblica? E non era sempre lui la povera vittima dell’Iva berlusconiana che tanto sdegno ha suscitato nei crociati del Pd? Bene, ieri questo castello di carte, questa collezione di miti taroccati e di manipolazioni interessate è venuto giù, si è dissolto come neve al sole, alla notizia che il gruppo che fa capo a Murdoch avrebbe pagato un milione di sterline in patteggiamenti extragiudiziali. Insomma, nello spazio di qualche lancio di agenzia l’immaginetta agiografica del lord inglese ha lasciato il passo alla mascella dentata all’editore senza scrupoli, le ambientazioni picaresche alla Billy Wilder si sono tramutate in un repentino cambio di scena, nel copione di «Le vite degli altri», l'indimenticabile film tedesco sulla spia della Stasi che passa la sua vita con le cuffie in testa ad ascoltare i suoi microfoni ambientali.
Ancora non sappiamo se i piccoli Tom Ponzi che si sono fatti pizzicare mentre erano a libro paga di qualche testata del gruppo Murdoch siano gli stessi che in queste ore si sono messi a offrire cachet a tutte le donnine più o meno implicate nello scandalo della Certosa. Non sappiamo ancora da quando, questi improvvisati 007 del pettegolezzo e delle fonti avvelenate, abbiano fatto ricorso alla tecnologia illegale, alla spiata, alla manipolazione. Non siamo ancora in grado di capire perché mai un quotidiano dello Squalo sia così interessato ad origliare la vita della moglie, ministro, dell’avvocato Mills, imputato in un celebre processo contro Berlusconi. Se si pensa male, ricordava Andreotti, si commette peccato, però non si sbaglia. Invece noi speriamo di sbagliarci. Perché il sospetto che affiora, se si mette la testa in questo groviglio di umori oscuri, è che la finalità di quelle inchieste poco onorevoli non fosse nemmeno informare in maniera illecita i lettori, ma regalare qualche arma all’editore contro i suoi competitori.

Insomma, un milione di sterline per mettere a tacere lo scandalo non sono un condono che sana il dubbio, ma una posta sul tavolo verde dell’azzardo e dell’avventurismo, la spia rivelatrice di un meccanismo distorto. E adesso abbiamo paura di scoprire che dietro la facciata d’imparzialità del giornalismo di conio anglosassone si nasconda il pozzo nero di una moderna pirateria di conio australiano.

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