Le specie di microbi sono un trilione (un milione di bilioni...) e solo mille e quattrocento di esse ci disturbano con infezioni e malattie. Tutti gli altri microrganismi sono stati, e sono tuttora, fondamentali per noi e per il pianeta. Qualche decennio fa non lo sapevamo ma, oggi che li conosciamo molto meglio, dovremmo imparare a curarli un po' di più. Come ci raccontano, con passione e grande equilibrio fra esigenze della «naturalità» e progressi della scienza, Duccio Cavalieri, Rino Rappuoli e Lisa Vozza nel saggio I microbi salveranno il mondo? (Il Mulino, pagg. 248, euro 17).
Duccio Cavalieri e Lisa Vozza, se le specie di microbi sono un trilione, i microbi allora quanti sono?
D.C.: «È un grosso punto interrogativo. Si stima che un uomo alto 1,80 m e di 80 kg contenga un peso di microorganismi di circa due chili».
C'è qualche altro termine di paragone?
D.C.: «Diciamo che il microbiota umano include circa dieci cellule batteriche per ogni cellula umana. Si stima che un uomo di 80 kg di peso e alto 1,80 m abbia dieci per dieci alla dodicesima di cellule umane; ebbene, il numero di batteri è cento per dieci alla dodicesima. È sconvolgente. E poi ci sono anche le cellule di funghi, circa dieci alla dodicesima».
Insomma di «nostro» resta una minoranza di cellule?
D.C.: «Questo ci spinge a ripensare l'evoluzione darwiniana: ci insegna che quella che chiamiamo selezione naturale non agisce esclusivamente sui geni e le cellule dell'ospite, bensì agisce sui geni e le cellule dell'insieme dell'ospite e dei suoi batteri e funghi. Perciò parliamo di olobionte».
L.V.: «Il fatto è che i microorganismi interagiscono fortemente con le nostre cellule, quindi le forze della selezione agiscono su un organismo complessivo, che include vari tipi di cellule».
Ereditiamo anche i geni batterici?
LV: «In realtà, moltissimi arrivano al bambino dopo la nascita: una dote la riceviamo al momento del parto; poi, tramite l'esplorazione del mondo e degli alimenti, si crea un microbiota individuale».
D.C.: «Questo ci dice due cose. Primo, la donna contribuisce al microbiota del nascituro molto più dell'uomo. Secondo, i bambini devono crescere in un ambiente sano, anche dal punto di vista microbico».
Che significa sano?
D.C.: «Né sterile, né pericoloso. Quando sterilizziamo un ambiente, lo arricchiamo di organismi resistenti allo sterilizzante; ma questo non vuol dire che dobbiamo rotolarci nel sudicio, bensì contaminarci con le comunità microbiche più giuste. Va bene un rapporto green, ma il recupero di un patrimonio microbico deve avvenire attraverso politiche intelligenti, che oggi le tecnologie ci consentirebbero, per esempio nelle stalle, o nella produzione».
I microbi sono così importanti per l'evoluzione?
L.V.: «Sì. Hanno plasmato la Terra. Ci hanno dato l'ossigeno, che non esisterebbe se non fossero apparsi i cianobatteri, degli organismi unicellulari che per primi hanno fatto la fotosintesi, permettendo ad altri organismi di svilupparsi. Ci hanno dato alimenti essenziali nati dalla fermentazione, come birra, vino, pane e yogurt. E, senza microbi, la maggior parte degli organismi viventi non esisterebbe: siamo una colonia...».
I famosi batteri dell'intestino?
L.V.: «Si trovano nell'intestino, sulla pelle e nei nostri anfratti e, senza di essi, non potremmo compiere la digestione, così come molte altre funzioni biochimiche e metaboliche, che dipendono da reazioni permesse da questi microbi. E poi sono di origine microbica gli enzimi, fondamentali, che usiamo per sanificare le acque e degradare i rifiuti: senza microbi, la Terra sarebbe un ammasso di rifiuti e di cadaveri... Non c'è funzione del nostro mondo che non ne sia influenzata: è impossibile vivere senza».
Qual è quindi il problema coi microbi?
L.V.: «Il problema è che, da qualche centinaio di anni, ci concentriamo solo su poche specie patogene, che ci infastidiscono e sono pericolose per noi e per gli animali di cui ci nutriamo; ma ne esistono milioni di altre, innocue e utili, e ignorate fino a poco tempo fa, cioè fino a quando le tecniche genomiche ci hanno consentito di scoprirne l'esistenza».
Dovremmo quindi «proteggere» i microbi?
L.V.: «Non sappiamo di doverlo fare, ma dobbiamo proprio avere cura e proteggere i microbi, per noi e per il benessere del pianeta: non per loro, che sono tenaci e forti e sopravviveranno a qualsiasi disastro noi potremo provocare... Ma i microbi non hanno paladini, perché sono invisibili».
A che cosa altro servono?
D.C.: «Senza di loro l'antropocene ci distruggerebbe: degradano la plastica e il petrolio, quindi dovremmo accelerare e favorire questi processi. Un lavoro recente spiega addirittura come essi abbiano costruito le rocce: sono responsabili dell'assetto geofisico della Terra e anche del cielo azzurro. I batteri del kefir e dello yogurt ci aiutano a compensare l'intolleranza al lattosio. E senza batteri non saremmo sopravvissuti alla rivoluzione del neolitico: il nostro genoma si evolve lentamente, mentre quello dei batteri è veloce; questo fa sì che essi possano adattarsi rapidamente e anche aiutare noi ad adattarci ai cambiamenti ambientali, inclusa la dieta».
L.V.: «I batteri possono scambiare pezzi di geni anche in orizzontale: un vantaggio evolutivo incredibile, per sopravvivere. Il che è una fregatura, per noi, perché si scambiano anche i pezzi che conferiscono la resistenza agli antibiotici, la quale, proprio per questo, si diffonde così rapidamente».
Quindi gli scambi di geni sono naturali, anche nei microbi?
L.V.: «Assolutamente. Il nostro genoma è un mosaico: siamo pieni di fossili nel nostro Dna. La biologia funziona così: tutti gli organismi continuano a scambiare pezzi di ogni tipo. L'ostilità ai cosiddetti ogm non è scientifica ed è inconsapevole del fatto che questi scambi, in natura, emergano continuamente».
D.C.: «Ai no vax dico sempre: ci siamo già vaccinati mille volte. Ogni incontro con un microorganismo è un vaccino: il mondo dei microorganismi è Big Pharma...».
Per quanto riguarda la resistenza agli antibiotici che cosa possiamo fare?
D.C.: «L'abuso di antibiotici avviene, più che in ospedale, nella produzione animale. Dovremmo ripensare questo ambito proprio facendo riferimento ai microorganismi che ci possono salvare da questi danni o aiutarci a ridurli».
Come?
L.V.: «Una tecnologia si basa sui batteriofagi, che sono i virus che mangiano i batteri: senza di essi, la popolazione batterica sarebbe enorme. L'idea è di realizzare terapie mirate, ingegnerizzando i batteriofagi, in modo da usare quelli specifici contro le infezioni batteriche resistenti. Per ora sono terapie sperimentali, non banali e costose».
Esistono altre tecniche?
L.V.: «C'è una ricerca di antibiotici attraverso analisi genomiche dei batteri: esistono geni che producono proteine e tossine che possono uccidere altri batteri, anche in modo specifico».
I batteri ci sopravviveranno?
L.V.: «Assolutamente. Sopravvivono a tutto».
D.C.: «Sono immortali. Ma, se li conosciamo, riusciamo a usarli. E possono aiutarci a salvarci».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.