I punti chiave
La storia della scienza è fatta di straordinarie scoperte e profonde delusioni, anche sul fronte della tutela del Pianeta: nel corso degli ultimi decenni, si sono infatti registrati diversi esperimenti ambientali fallimentari. Eppure, anche quando la ricerca fallisce i suoi obiettivi, ne possono nascere degli studi scientifici molto importanti. Basti pensare, ad esempio, a come un incidente navale - dalle conseguenze drammatiche per gli ecosistemi marini - si sia trasformato in un prezioso strumento proprio per la ricerca scientifica: è il caso delle Friendly Floatees, le migliaia di paperelle di plastica riversate in mare da container, oggi impiegate per comprendere le correnti marine. Ma ci sono anche esperimenti che, pur proponendosi di tutelare l'ambiente, si sono rivelati dei grandi fallimenti.
Tuttavia, sembra che di questi esperimenti ambientali fallimentari se ne parli sempre troppo poco: gli errori nella scienza sono comunque importanti, perché permettono di migliorare la ricerca futura. Ad esempio, l’ex ufficiale della Marina Usa Allison Catalano - un dottorato di ricerca all’Imperial College di Londra - ha esaminato gli schemi ricorrenti nei fallimenti degli studi scientifici sulla tutela degli ecosistemi e la salvaguardia delle specie animali in estinzione. Catalano ha evidenziato come molti degli errori siano legati alla fallibilità degli esseri umani, al poco coinvolgimento delle popolazioni locali e alla scarsa comunicazione tra le parti coinvolte.
Il caso di Biosphere 2
La storia della nascita di Biosphere 2 rientra perfettamente nei casi di fallimento che hanno portato la scienza verso sfide più importanti e mirate per l'ambiente. La vicenda è stata riassunta dal New York Times e mostra come un sogno, anche se supportato da una notevole strategia di marketing, si trasformi in un incubo se costellato da numerosi errori.
A metà degli anni ’90 Abigail Alling e Mark Van Thillo, insieme a un piccolo gruppo di altre cinque persone, si sigillarono all’interno di una costruzione ecologica nel Nuovo Messico, chiamata appunto Biosphere 2. Lo scopo dell’esperimento era ricreare una copia perfetta della biosfera, in modo da poter “esportare” dei modelli ecosistemici sulla Luna o su Marte. Tutto però andò storto.
Sulla carta Biosphere 2 fu un esperimento affascinante. Su uno spazio di 3 acri era stata realizzata una foresta pluviale in miniatura, una mangrovia, un deserto e una barriera corallina. Ben presto però la struttura iniziò a perdere ossigeno a causa della presenza nel suolo di batteri aerobi, mentre colibrì e api morirono senza essere riusciti in tempo a impollinare i raccolti. Questi ultimi furono attaccati da vermi nematodi e acari e, nel frattempo, gli ambienti si riempivano di scarafaggi. Non esattamente il paradiso che gli ecologisti avevano immaginato all’avvio dell’esperimento.
Quello che si apprese tempo dopo l’arresto di Alling e Van Thillo, a causa dello spreco di fondi che l’esperimento comportò, è come Biosphere 2 ricevesse semi e approvvigionamenti agricoli dall'esterno, nonostante la promessa di essere autosufficiente. Non solo: le sette persone all’interno si sarebbero dovute nutrire con i frutti del loro lavoro, ma finirono per ricorrere alle riserve di cibo stipate in una dispensa segreta.
Tuttavia questo fallimento, come accennato, ha portato a indirizzare la scienza su questioni più ristrette e mirate, come ad esempio il peso di alti livelli di anidride carbonica sulla sopravvivenza della barriera corallina. Per questo Biosphere 2 esiste ancora, ma oggi è gestita dalla Columbia University: sono state abbandonate le velleità di abitare fuori dal Pianeta e la struttura viene sfruttata per obiettivi più concreti, ovvero comprendere come tutelare la natura terrestre studiando quello che, nei fatti, è un suo modello in miniatura.
Il caso della Osborne Reef
Tra gli anni ’60 e gli anni ’80 furono gettati copertoni di automobili in diverse aree marine del Pianeta, con il fine di creare una barriera per la tutela degli ecosistemi delle coste. L’esperimento più celebre in tal senso è quello della Osborne Reef: negli anni ’70, al largo di Fort Lauderdale in Florida, furono calati in mare pneumatici da parte di centinaia di barche: niente andò per il verso giusto.
La zona si rivelò però inospitale per la fauna marina per via di fortissime correnti. Inoltre, i copertoni usati presentavano anche altri materiali - come nylon e metalli - che, a contatto con l'acqua, si deteriorarono e danneggiarono gli stessi pneumatici. E il risultato fu che non solo nella zona non si stabilì un ricco ecosistema marino, tra specie animali e vegetali, ma i residui degli stessi copertoni inquinarono e contaminarono l'area: tutt'oggi, devono essere ancora completamente recuperati e smaltiti.
Negli anni sono stati messi in atto diversi progetti di recupero: l’ultimo e il più importante dura dal 2016 ed è gestito dallo Stato della Florida, che ha stanziato fondi e accolti progetti privati per la “pesca” dei copertoni. Alcuni vengono riciclati, ma la maggior parte viene bruciata per produrre energia.
Di tanto in tanto alcuni copertoni raggiungono le vicine spiagge, comportando un ulteriore danno per l’ambiente, poiché il loro deterioramento risulta dannoso per gli animali marini e per il delicato ecosistema delle spiagge, anche alimentando la proliferazione di insetti come le zanzare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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