Gli amici di Ahmadinejad ora sono in Svezia

«Vergogna», ha detto ieri il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu durante il suo discorso a New York, rivolgendosi «a chi è rimasto seduto, in questa sessione dell’Assemblea dell’Onu, a legittimare chi nega la Shoah e minaccia di sterminio gli ebrei, vergogna a chi non capisce che il matrimonio fra fondamentalismo religioso e armi di distruzione di massa minaccia tutto il mondo». E peccato davvero che questa vergogna ricada sulla Comunità Europea, la cui presidenza svedese, rappresentata dal ministro degli Esteri Carl Bildt, ha dichiarato di essere rimasta seduta con altri membri dell’Ue (non l’Italia) perché il discorso di Ahmadinejad non aveva superato “le linee rosse” che si era data l’Europa rispetto alla possibilità di abbandonare l’aula.
Dunque, per responsabilità europea, lo spettacolo politico cui il mondo ha assistito durante l’assemblea generale dell’Onu è stato duplice, e il ruolo europeo non è stato certo quello dell’eroe: il peso politico maggiore l’ha avuto alla fine la sensatezza americana e di alcuni Paesi europei di fronte al pericolo iraniano, mentre la Svezia ha svolto una parte frigida e invecchiata.
Si sono visti sul proscenio un sussulto e anche una manovra politica partita da Obama, che ha fatto onde fino a spostare il colosso russo: il presidente Dmitry Medvedev, con un vero slittamento, si è avvicinato al presidente americano e ha concesso che «le sanzioni portano raramente risultati positivi, ma in alcuni casi sono inevitabili». È facile arguire che il cambiamento di linea sia legato alla rinuncia allo scudo spaziale sull’Europa dell’Est. Ovvero, alla fine, nonostante la politica della mano tesa, per ora invece Obama le mani le ha messe avanti. Lo hanno spinto certo la risposta negativa dell’Iran sulla ridiscussione del suo programma atomico («non se ne parla nemmeno», aveva già risposto Ahmadinejad) e i tempi stretti.
Sembra che in molti lo abbiano ascoltato e che ormai la linea morbida verso l’Iran sia in fase di correzione alla Casa Bianca e nelle cancellerie che contano: il presidente francese Sarkozy ha reso il concetto molto chiaro durante la riunione del Consiglio di sicurezza, quando ha richiamato al pericolo pressante e evidente che l’Iran può rappresentare se riuscirà nel suo intento nucleare.
Mentre il presidente russo Medvedev cambiava linea, durante il discorso di Ahmadinejad sono stati 12, fra cui l’Italia, i Paesi che sono usciti mentre il presidente iraniano come al solito diffondeva la tesi sulla congiura ebraica per dominare il mondo, il genocidio dei palestinesi, il razzismo di Israele, le sue disumane politiche in cui si sterminano donne e bambini. Della Shoah aveva già parlato nelle interviste distribuite con generosità prima dell’intervento all’Onu. E della determinazione a sterminare Israele tutta aveva ampiamente dato conto venerdì scorso durante il “giorno di Gerusalemme” indetto a Teheran in cui quando si inneggia alla Città Santa, la si intende come judenrein (libera da ebrei).


Ma il rappresentante svedese, che già aveva mostrato i suoi colori nel considerare pertinente alla “libertà di opinione” il tipico blood libel del suo quotidiano Aftonbladet che aveva sostenuto che i soldati israeliani uccidono i palestinesi per rubarne gli organi, ha scelto di restare seduto a ascoltare Ahmadinejad: uscivano invece l’Italia, la Francia, la Germania, la Danimarca, l’Ungheria, l’Inghilterra insieme agli Usa, al Canada, all’Argentina, all’Australia, alla Nuova Zelanda. È rimasto ad ascoltare mentre Ahmadinejad demonizzava Israele e lodava la trasparenza e la legittimità delle sue elezioni.
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