Anche Prodi adesso strizza l’occhio ad Hamas

«Dobbiamo agire su tutte le parti in causa. Non si può pensare a una pace con i palestinesi in lotta tra loro»

Anche Prodi adesso strizza l’occhio ad Hamas

da Roma

L’impressione è che sia stato «volutamente» equivoco. Si parla di Romano Prodi, che investito ieri a Bratislava della questione palestinese ha risposto a chi gli chiedeva chiarimenti, dopo l’appello pro-Hamas di D’Alema, facendo sapere che «la posizione italiana è chiarissima: agire su tutte le parti in causa».
Par chiaro che il presidente del Consiglio sposi in pieno gli auspici del suo ministro degli Esteri. Non è invece chiaro cosa intenda per «agire». Convincere Ismail Haniyeh a riconoscere Israele, come reclama la Ue? Aprire le porte della conferenza di pace che Bush vuole per l’autunno anche a Hamas? Evitare che riprenda il via del flusso di aiuti economici pro-palestinesi nella sola direzione di Abu Mazen, tagliando fuori la striscia di Gaza ormai in mano agli estremisti dell’ex-premier, guida del partito che non esclude il ricorso al terrorismo contro Israele?
Prodi evita ogni altro accenno al problema, così come le non troppo velate proteste di Gerusalemme («Ma qual è la politica estera italiana?» ha chiesto polemico ieri l’ambasciatore a Roma Gideon Meir). Preferisce restare nella sua studiata ambiguità. «Nella costruzione del processo di pace in Medio Oriente - si limita a sostenere - bisogna agire su tutte le parti in causa, visto che non si può pensare ad una pace con due popoli palestinesi in opposizione tra loro. La nostra posizione è chiarissima e l’ho ribadita anche nel mio viaggio in Israele a Olmert e ad Abu Mazen».
Solo che il presidente dell’Anp, giusto ieri - dopo un incontro con Solana - ha escluso seccamente qualsiasi dialogo con Hamas. «Nella striscia di Gaza c’è stato un golpe contro la legittima leadership palestinese e coi golpisti non ci sarà alcun dialogo finché le conseguenze del loro colpo di stato non saranno cancellate». Diventa insomma vieppiù intricata la questione, anche se sono tante le iniziative che in questi giorni di fine luglio stanno prendendo piede per cercare di facilitare la conferenza di pace, c’è già chi la chiama «Camp David 3», con la quale Bush auspica, in autunno, di avviare a scioglimento i nodi della vicenda palestinese. Per il momento assetto e dettagli dell’appuntamento non sono decisi. Ma le prime reazioni, sia occidentali che del mondo arabo, sono positive. Così come per la scelta di Tony Blair a inviato speciale del Quartetto (Usa, Russia, Ue, Onu), che dopo la tappa romana di ieri volerà oggi a Lisbona dove ci saranno la Rice, il russo Lavrov, Solana e il presidente portoghese per la Ue e il segretario generale dell’Onu. Il suo compito è quello di esplorare la fattibilità della conferenza di pace. L’esclusione degli estremisti di Hamas, che ora controllano Gaza, non dovrebbe sollevare obiezioni, visto che tutta la comunità internazionale appoggia il presidente dell’Anp Abu Mazen. Più complesso il discorso su chi potrà sedere a quel tavolo, visto che nei confronti dei siriani gli Usa continuano a mostrare una certa ostilità e che anche nei confronti del Libano ci sono perplessità vista la situazione politica nel paese dei Cedri.
Quali siano le intenzioni dell’ex-premier britannico su Hamas e sugli inviti al tavolo non è però ancora dato saperlo. Visto che la conferenza stampa di Blair, giunto ieri sera a Roma per incontrarsi con D’Alema alla Farnesina e poi con Prodi a palazzo Chigi, è stata annullata. «Sopraggiunti impegni» dell’ospite inglese, ha mandato a dire palazzo Chigi. Ma la cosa è sospetta, visto che Blair ha trascorso la notte a Roma e questa mattina ha in programma un breve colloquio anche con Fassino (responsabile dell’Internazionale socialista per il M.O.). Forse qualcuno ha pensato che fosse alto il rischio che si chiedesse a Blair cosa pensasse dell’apertura prodian-dalemiana ad Hamas.

Che in serata, tra l’altro, proprio il ministro degli Esteri confermava appieno: «Difficile che si possa pensare di creare uno Stato palestinese senza porsi il problema di quale rapporto avere con il partito che ha vinto le elezioni in Palestina. Trovo che le polemiche siano largamente infondate».

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