Se è vero che, ci piaccia oppure no, nel mondo degli affari pecunia non olet, dopo la lettura della Repubblica di ieri, che ha dedicato ampio spazio polemico alla nuova e imminente visita del colonnello Gheddafi in Italia, sorge prepotente una domanda. Vorremmo insomma capire perché questa massima, applicata in ogni epoca e con qualsivoglia governo anche nei confronti dei business tricolori in tanti altri Paesi non propriamente liberali - dall’Iran dove si impiccano i minorenni e si lapidano le donne, all’Arabia Saudita dove le teste ruzzolano come palloni da football sotto le scimitarre dei boia a tempo pieno - non debba valere invece anche per la vicina Libia. Ci chiediamo insomma: perché mai a puzzare devono essere unicamente i soldi (e sono tanti) che ci arrivano dall’ex colonia governata dal colonnello Gheddafi? La domanda, palesemente retorica dato che contiene già la risposta, nasce dal dispendio di meningi, carta e inchiostro che il quotidiano romano ha profuso per far apparire il rapporto di partnership economico-finanziario tra i due Paesi esclusivamente come un personalissimo affare privato tra il colonnello e- indovinate chi? - il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Ribattezzati «la premiata ditta Gheddasconi», con una fantasia più da Corriere dei piccoli che da Repubblica . A questa «ditta» il quotidiano romano attribuisce per esempio anche la responsabilità ( come fosse una colpa) di quella quota del 7% che fa della Libia il primo azionista di Unicredit, banca che se non ci sfugge qualcosa è guidata da un bel po’ di anni da Alessandro Profumo, non propriamente un berlusconiano doc, per non dire proprio un simpatizzante del Pd, con tanto di partecipazioni alla Festa dell’Unità, suo voto alle primarie del partito, nonché candidatura della moglie Sabina Ratti nella lista di Rosy Bindi. Ricordano poi, su Repubblica , additandolo presumibilmente al vituperio delle genti, anche «lo storico 7,5%» che il colonnello controlla nella Juventus. Storico, appunto, così come lo è del resto il rapporto della Libia con casa Agnellifin dai tempi dell’Avvocato. La prima volta era stato nel ’76 (c’era già forse il Cavaliere al governo?) per una durata dell'investimento di 10 anni. Né si dimentica, il quotidiano, di dif-f fondere il terrore finanziario rivelando che «le finanziarie di Tripoli hanno studiato il dossier Telecom, puntano a Terna, Finmeccanica, Impregilo e Generali ». Succede, nel mondo degli affari, quando le aziende funzionano e rendono. E menziona poi, quasi come fosse una iattura, il fatto che «la Libia ha allungato di 25 anni le concessioni del cane a sei zampe (l’Eni, ndr) in cambio di 28 miliardi di investimenti ». Che cosa avrebbero scritto se quelle concessioni il governo di Tripoli le avesse invece accorciate? Ciò che invece sembra dimenticare il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, è di riportare per esempio la crescita dell’export italiano verso la Libia. Dal 2008 al 2009, solo per citare alcune voci, è cresciuto del 52,88% nei prodotti derivati dal latte, del 69,56% nelle conserve ittiche, del 55,78% nei saponi e prodotti per la pulizia, ma quel che più balza all'occhio di addirittura il 904% in uno dei settori che da sempre è un punto di forza dell'industria italiana, ovvero quello delle macchine per la lavorazione dei metalli. Briciole? Record marginali? Non si direbbe dal momento che, come sottolinea Antonio de Capoa, presidente della Camera di commercio italo- libica, «gli ultimi dati dell’interscambio tra i due Paesi mettono in evidenza dati molto positivi, come lo è la crescita del 12% dell’export italiano da gennaio a marzo 2010, a quota 573 milioni di euro rispetto all’anno precedente. Mentre sempre più numerose sono le joint venture italolibiche nate sia per la produzione interna sia per l'export». Italiane sono inoltre le 100 aziende che prenderanno presto parte a un tour in Libia per conoscere le opportunità in termini di business e cooperazione.
«Tra queste possibilità da cogliere - aggiunge de Capoa- ci sono 11,8 miliardi di euro messi a disposizione dal governo di Tripoli per la free zone dedicata interamente alle aziende tricolore» . Ci sorge a questo punto un sospetto che giriamo immediatamente ai segugi di Repubblica : hai visto mai che anche quelle 100 aziende siano tutte di Berlusconi?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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