Attacco in 24 ore. Così il piano Usa

Secondo rivelazioni dell’esperto Seymour Hersh, sul settimanale "The New Yorker", il Pentagono avrebbe già pronto un piano d’attacco attivabile entro 24 ore. Gli obiettivi sarebbero però più limitati che nei piani precedenti

Attacco in 24 ore. Così il piano Usa

Washington - Da Washington raffica di dichiarazioni, offerte, minacce e smentite sull’Iran. Dopo che Cheney aveva sottolineato che «tutte le opzioni sono aperte» (dunque anche quella militare), il segretario di Stato Rice ha risposto alla definizione data da Ahmadinejad dei progetti nucleari come un «treno in corsa» precisando che «non pretendiamo una marcia indietro. Ci basta che l’Iran azioni il bottone dello stop. Se lo faranno siamo pronti a sederci e a parlare di tutto quello che vorranno». (La sfida di Teheran s'allarga allo spazio).
E se non ci sarà uno stop? Secondo rivelazioni dell’esperto Seymour Hersh sul settimanale The New Yorker, il Pentagono avrebbe già pronto un piano d’attacco attivabile «entro 24 ore da un via di Bush». Gli obiettivi sarebbero però più limitati che nei piani precedenti: non più, almeno inizialmente, la distruzione degli impianti nucleari o il «cambiamento di regime» ma «obiettivi in Iran legati a organizzazioni armate sciite che operano in Irak». Il Pentagono ha smentito, ma non ci sono invece reazioni a un altro «scoop» questa volta del quotidiano londinese Daily Telegraph secondo cui soldati americani sarebbero già entrati in Iran nelle zone di confine, con compiti per ora di addestramento alle milizie private di gruppi etnici operanti soprattutto nel Nord Ovest del Paese, che starebbero intensificando un’attività di guerriglia contro Teheran: curdi, azeri e arabi del Kuzhestan. La limitatezza degli obiettivi non escluderebbe la possibilità di un’azione militare globale più tardi: gli attacchi dei separatisti, secondo esperti britannici, potrebbero essere utilizzati per aumentare la tensione e creare un casus belli.
Una strategia che però incontra crescenti opposizioni a Washington, negli ambienti politici, ma soprattutto militari. Secondo il London Times le obiezioni avrebbero raggiunto il più alto livello e sarebbero state espresse negli ultimi giorni in toni insolitamente espliciti: diversi generali americani a tre stelle sarebbero pronti a dimettersi se verrà l’ordine di attaccare l’Iran. Si tratterebbe almeno cinque generali e un ammiraglio, che si riconoscono nella motivazione che «il progetto è velleitario e non ha possibilità di successo».

Un’opinione già espressa da un ufficiale ancora più alto in grado, il generale Peter Pace, capo dello Stato Maggiore congiunto, che di recente ha anche contraddetto di persona Bush smentendo che il governo di Teheran fornisca, come annunciato dal presidente, armi alla guerriglia irachena. Il quotidiano avanza addirittura l’ipotesi che i «ribelli» degli alti gradi avrebbero l’appoggio o almeno la protezione del nuovo ministro della Difesa di Washington, Robert Gates.

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