La Fiat, la Juve, la politica e le donne: lo show di Gianni Agnelli a Mixer

Nel 1984 l'Avvocato fu ospite nel faccia a faccia con Giovanni Minoli: ne uscì una delle interviste più epiche della storia televisiva recente

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Gessato grigio, camicia celeste, cravatta di un blu intenso. E poi quel gesticolare costante con le mani, che è certamente attributo tipicamente italiano, ma che nel suo caso specifico assurge a movimento che tende ad assumere le immaginifiche redini del discorso. Il posto sono gli studi di "Mixer", la trasmissione condotta da Giovanni Minoli. L'anno, il 1984. L'uomo dai modi garbati e imperiosi che gli siede davanti, pronto ad essere intervistato, è l'avvocato più celebre d'Italia. Gianni Agnelli. Quel che ne esce, uno show su Rai Uno che ancora oggi, a distanza di quarant'anni, resta una pietra miliare della tv di Stato.

Si parte, dunque, e Minoli è conosciuto per la capacità di menare le danze, incalzando l'ospite. La prima domanda va dritta sull'Agnelli uomo e imprenditore. "Lei qualche anno fa è stato soprannominato l’avvocato di panna montata, come la prese?", chiede. Agnelli sembra scrollare le spalle e circostanzia con arguzia: "Una definizione di Scalfari, che se la prese perché voleva che io rimanessi socio di Rizzoli. Le lascio immaginare la sua lungimiranza". Poi ci si sposta subito sul versante politico. "Che ne pensa di De Mita?". Anche qui l'avvocato rifugge l'appiattente banalità inferta a troppe interviste dal politically correct, e si avventura in una raffigurazione pittorica: "Lo considero un tipico intellettuale del Mezzogiorno, di quella tradizione di pensiero tipica della Magna Grecia". E Craxi? "Un uomo intelligente, intuitivo e di forte temperamento".

Minoli gli fa notare, non che ce ne fosse realmente bisogno, che lui in Italia è la personificazione del potere. Poi gli domanda cosa gli piaccia di più, appunto, del potere stesso. "Vede, io penso - risponde Agnelli - che la cosa grave sia avere responsabilità senza potere. Io non sono un assetato di potere, mi piace averne quel tanto che mi serve per assolvere le mie responsabilità".

Le domande adesso si fanno torrenziali. Il giornalista non vuole sprecare nemmeno un istante di quell'incontro, intuendo che può essere un giacimento di considerazioni destinate a rimanere scolpite nella storia televisiva. Perché l'avvocato può andare di traverso a molti, ma è di sicuro un personaggio altamente impattante.

"Come valuto le persone che mi stanno intorno? Vede - prosegue Agnelli - una persona è quello che fa. La giudico da questo e poi c’è il potenziale di quello che può fare in futuro: qui c’è l’intuizione". Impossibile scansare la domanda sulla facoltosa condizione di famiglia, sul modo in cui ricchezza e potere possono trasmettersi. Anche qui però Agnelli non si scompone: "I patrimoni si ottengono per accumulazione, speculazione o successione. Poi però io ci ho messo la responsabilità che conseguiva al patrimonio. Sarei diventato ricco facendomi da solo? No, non penso".

Dalla politica alla Fiat, ma l'altro argomento cardine è la seduzione di una vita, la Juventus. "Quando Boniperti non segue i miei consigli fa delle sciocchezze. Le racconto questo aneddoto: campionati del mondo in Argentina. Lo chiamo al telefono. Boniperti, mi hanno segnalato un giovane che ha delle doti eccezionali. Si chiama Maradona, guarda che deve essere qualcuno. Risposta: se fosse qualcuno lo saprei". E poi, ancora: "Platini? L’abbiamo comprato per un pezzo di pane. Boniek? È un grandissimo giocatore ed ha le caratteristiche del suo paese. Sa come si diceva dopo la guerra? Solo i polacchi e i finlandesi hanno caricato a cavallo i carri armato tedeschi, ma i polacchi credevano di vincere".

La curiosità di Minoli è insaziabile. "Cosa insegnare ai giovani? Fiducia in sé stessi, nel loro paese e la necessaria volontà di andare verso l’eccellenza". Dalle nuove generazioni si giunge fino all'universo femminile, senza sosta. "Lei è un uomo molto amato dalle donne, che effetto le fa?", prova a strappare una risposta velata di gossip il conduttore. "Se è vero non può che farmi piacere, ma non dirò altro. Guardi, ci sono due tipi di uomini: quelli che parlano delle donne e quelli che parlano con le donne. Io preferisco non parlarne. La più bella? È come dire il miglior calciatore. Io innamorato? Lo ero a fatica a vent’anni, figuriamoci adesso".

L’uomo più importante della sua vita, aggiunge nel flusso delle risposte ai famelici quesiti, è stato certamente suo nonno. Quello che lo ha colpito di più, Winston Churchill. Minoli gli fa notare che lui pare amico, guardando all'America, tanto dei repubblicani quanto dei democratici. "Vero, ma come ogni europeo - precisa l'avvocato - mi sento più vicino ai principi dei democratici".

L'intervista volge verso il suo

naturale epilogo. "L’erede di Gianni Agnelli? Per me alla Fiat dovrà succedermi qualcuno che ha il senso della Fiat. Guiderà un’impresa formidabile, ma non avrà una vita facile". Da riguardare in loop, quarant'anni dopo.

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