Caro Stefano,
in effetti, stupisce che a distanza di un centinaio di giorni dalla uccisione di Giulia venga pubblicato un libro scritto dal padre Gino. E ti spiego i motivi che suscitano in me tale meraviglia. Innanzitutto, questo libro, al pari di qualsiasi altro, deve essere stato pensato, meditato, poi scritto, proposto, letto, revisionato, editato, operazioni lunghe e complesse che richiedono tempi che in questo caso sono stati bruciati, come se si intendesse astutamente cavalcare l'eco mediatica che tale fatto di cronaca ha prodotto. La sofferenza di questa famiglia forse viene sfruttata dalla prima ora, ma diciamo pure che questa stessa famiglia è bravissima a fare in modo che la propria sofferenza venga sfruttata. Non si sottrae, tutt'altro, puntualizzando però sempre che lo si fa per nobili ed elevatissime finalità.
Le tue impressioni, quindi, credo che inevitabilmente siano condivise da moltissimi cittadini. In secondo luogo, non è affatto chiaro di cosa si tratti. È un libro del padre su Giulia, in cui l'uomo racconta, come mi è parso di capire dalle sue medesime dichiarazioni, quello che la figlia gli avrebbe insegnato? È un libro di memorie? È una biografia? O è un trattato di sociologia mediante il quale Gino Cecchettin, elettricista, pretende di spiegarci in qualità di esperto (ma non si sa di cosa, forse di cavi e fili) il patriarcato, la cultura della sottomissione della donna che, a suo giudizio, vige in Italia, le nostre colpe, i nostri vizi, i nostri peccati? Del resto, è così che viene presentato il libro dallo stesso autore, ossia come un volume sulla cultura patriarcale italiana.
Non vorrei risultare pungente, mi limito a rilevare quello che è fattuale: l'esperienza di un dolore tanto grande, come appunto la perdita di un figlio quantunque avvenga in un modo così violento e tragico, non può determinare l'acquisizione di competenze, studi, specializzazioni, approfondimenti che Cecchettin non possiede, non ha mai fatto e non ha potuto maturare nel giro di trenta o cinquanta giorni, peraltro in pieno lutto, tra una intervista e l'altra, tra un'ospitata televisiva e quella successiva.
Preciso: non nego né mi permetterei mai di giudicare, come ho già avuto modo di specificare in altre occasioni, il dolore e la modalità di elaborarlo e viverlo di questa famiglia. Ma ritengo anche che gran parte degli italiani ne abbia abbastanza delle lezioncine sul patriarcato impartite dalla sinistra e dai personaggi che la sinistra utilizza per fare propaganda politica.
Non nego che in Italia esistano forme di patriarcato.
Io le riconosco nel patriarcato islamico che abbiamo importato dall'Africa e dall'Asia. Però se osi esternare una osservazione di questo tipo vieni bollato quale fascista. Riportare la nazionalità dell'assassino, dello stupratore, del molestatore, sul giornale è reputato altrettanto sintomo di razzismo. Però vieni lodato, invitato in tv da Fabio Fazio, elevato a guru, reclutato dal Pd e osannato se affermi che i maschi italiani sono criminali, soprattutto se manifestano quella che, secondo Elena Cecchettin, sorella di Giulia, sarebbe una evidente propensione all'omicidio fischiando alle belle donne per strada. Quante corbellerie da Elena e Gino! E ora, a marzo, arriva forse la raccolta completa, piena di stereotipi, luoghi comuni, pregiudizi, banalità.
Sarà probabilmente altro fango lanciato addosso ai giovani come te, colpevoli di essere maschi con l'aggravante di essere bianchi e italiani.Gli idioti, caro Stefano, costituiscono un pericolo. In particolare quando c'è gente disposta ad applaudirli ad ogni cazzata che sparano.
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