
«Viviamo, mia Lesbia, e amiamoci»: comincia così il celebre carme V di Catullo, fra i più famosi dell'antichità, noto anche agli storici della lingua latina per aver attuato una piccola grande rivoluzione. A metà componimento, infatti, il poeta romano scrive «Da mi basia mille», che tradotto sarebbe «Dammi mille baci». E proprio su quel «basia», neutro plurale da «basium», gli studiosi si sono interrogati parecchio, chiarendo infine come la voce sia probabilmente di origine popolare.
Catullo dunque rifiutò il latino aulico «osculum» (che significa sempre «bacio») e premiò il popolare «basium», fissandone il consolidamento linguistico, certificandone l'incisività nel parlato e rendendolo tanto ufficiale da farlo arrivare fino a noi: una storia certo appassionante, e che potrebbe aiutarci non poco a capire quanto sta avvenendo negli ultimi anni circa l'utilizzo o meno dell'asterisco e del segno schwa, tornati di nuovo al centro dell'attenzione poiché dichiarati non ammissibili dal ministro Valditara.
Non è stata tuttavia delle migliori la reazione degli ambienti più progressisti, che nel rifiuto di quei segni, già condannati dall'Accademia della Crusca, vedono una matrice puramente ideologica. Da persona completamente apolitica e apartitica quale sono, ribadisco invece che è ideologico il contrario. Ideologico, e del tutto innaturale, è pretendere che una pseudonorma nata inizialmente nello scritto venga codificata nell'uso, quindi in automatico nel parlato.
Ma la lingua non funziona in questo modo, la lingua non è un marchingegno robotico: nella lingua il parlato viene prima dello scritto, il parlato anzi è propedeutico allo scritto, e grazie a Dio. Così avveniva nel I secolo a.C.
con Catullo e avviene ancora oggi: pensiamo a termini anche molto recenti come «meme», «boomer», «creator», entrati nei nostri vocabolari solo dopo essere passati per svariati anni sulle bocche dei parlanti, e non il contrario. Il contrario sarebbe grottesco.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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