Valeria Sandei: "L’Ia non sostituirà l’uomo. È elemento di inclusione"

Valeria Sandei è l’unica donna alla guida di una azienda di intelligenza artificiale: "Portiamo semplicità nella vita di tutti"

Valeria Sandei: "L’Ia non sostituirà l’uomo. È elemento di inclusione"

In febbraio, su invito del governo francese, ha partecipato come rappresentante italiana all'Artificial Intelligence Action Summit, confronto ai massimi livelli sul futuro dell'intelligenza artificiale. E il 9 aprile è stata invitata a Bruxelles, dove la vicepresidente della Commissione europea Henna Virkkunen ha presentato l'Ia Continent Action Plan, il piano della Ue per potenziare l'uso dell'Ai nelle imprese.

Valeria Sandei è la signora dell'intelligenza artificiale italiana, l'unico Ceo donna di un'azienda di Ia che ha rilasciato modelli originali, cioè creati da zero, con tecnologia e competenze 100% Made in Italy. L'abbiamo incontrata proprio in occasione della Giornata nazionale del Made in Italy, istituita per domani dal ministero delle Imprese.

«La società si evolve sempre più rapidamente verso il digitale, l'intelligenza artificiale fa già parte della nostra vita ed è diventata indispensabile per governare il cambiamento che è in atto in ogni settore», dice Sandei. «È un'innovazione necessaria per trasformare i modelli di business. Il nostro impegno è quello di portare la tecnologia italiana sul mercato e di renderla più vicina alle aziende con le quali lavoriamo».

Viviamo ormai immersi nell'intelligenza artificiale, quasi senza accorgercene. La utilizziamo continuamente, quando impostiamo una destinazione sul navigatore, quando interroghiamo dispositivi come Siri o Alexa, accendiamo a distanza l'aria condizionata in casa o installiamo un filtro antispam sul computer. Eppure spiegare come l'Ia ci semplificherà sempre di più la vita è ancora difficile, e non solo per noi utenti comuni.

«La conoscenza e la cultura dell'Ia devono ancora passare in gran parte della popolazione, e in buona parte delle nostre aziende. Io sono però ottimista: l'Italia è un player centrale in Europa per quanto riguarda l'Ia. Nella giornata di lavori a Bruxelles si è toccato il tema della sovranità digitale, dell'impegno perché la tecnologia creata in Europa venga messa al centro: se utilizzata correttamente, può generare grande valore. Il piano d'azione che è stato presentato va in questa direzione e prevede nuove factories per l'addestramento delle tecnologie e dunque investimenti in infrastrutture all'avanguardia».

In parole semplici, cosa sono i nuovi modelli di linguaggio che avete rilasciato e a cosa servono?

«Esistono vari tipi di intelligenza artificiale e ciascuno ha una finalità e uno scopo diverso. A fine gennaio la mia azienda, Almawave, ha presentato Velvet, due nuovi modelli large language model - questa la definizione tecnica - di intelligenza artificiale generativa multilingua sviluppati integralmente da noi in Italia, su nostra architettura, e addestrati sul supercalcolatore Leonardo gestito da Cineca, a Bologna. La nostra Ia è pensata per essere sostenibile, quindi leggera come consumi, facile da utilizzare ed efficace come utilizzo. È stata progettata per aiutare la semplificazione nelle aziende. Penso alla sanità, alla mobilità, al turismo, alle risorse energetiche e molto altro ancora. Prendo come esempio la pubblica amministrazione e l'Inps, con cui già interagiamo. Se queste organizzazioni sono capaci di fornire servizi di facile comprensione, alla portata di tutti, i benefici ricadono sui cittadini. Ecco perché l'Ia da questo punto di vista è un elemento di grande inclusione».

Con i vostri nuovi modelli le persone verranno quindi facilitate nelle operazioni quotidiane?

«Esatto, questo è il fine. Togliamo complessità e portiamo semplicità. Un progetto che mi è piaciuto molto in questo senso, che è stato anche premiato, permetteva ai cittadini di capire se avessero diritto a una certa prestazione pensionistica, che era disponibile ma non tutti conoscevano. Non sapevano che spettasse loro perché non avevano modo di comprendere in maniera facile come accedervi. La complessità, in molte aziende, deriva dall'onerosità delle procedure che, di nuovo, l'Ia può rendere molto più semplici».

Con le macchine che semplificano la vita, il lavoro dell'uomo sarà superato?

«Non potrà mai accadere. La supervisione di qualunque processo rimarrà sempre in mano alle persone, il controllo umano resta necessario. L'Ia potenzia le capacità e velocizza molte attività, ma l'addestramento è compito dell'uomo».

L'addestramento dell'Ia tocca temi sensibili, come quello dei dati e dei confini etici: come si pone in tal senso?

«La famiglia di prodotti Velvet è stata addestrata da nostri algoritmi, con particolare attenzione alla selezione dei dati, per mitigare il cosiddetto bias dell'intelligenza artificiale, per ridurre cioè il rischio di distorsione. Tale pericolo si corre quando nell'addestramento della macchina non vengono utilizzati dati rappresentativi delle persone che lo realizzano, o del contesto: in parole semplici, se una macchina è alimentata da una visione parziale o da stereotipi, la sua applicazione ne sarà influenzata. L'addestramento dei modelli Velvet è stato su 4mila miliardi di token, definizione tecnica che indica, semplificando, pezzi di parole: eravamo partiti da 10mila miliardi di token, e man mano il lavoro umano e gli algoritmi ci hanno portato ad eliminarne ben 6mila miliardi. In questo caso è un valore: non abbiamo lavorato nell'ottica di aggiungere, ma abbiamo al contrario tolto. Rimuoviamo per rendere coerente il risultato con una certa etica, e con certe regole e leggi, sia italiane sia europee. Una regolamentazione equilibrata e non soffocante porta a un'evoluzione corretta delle nuove tecnologie».

È corretto affermare che i nuovi confini dell'intelligenza artificiale non hanno bisogno solo di tecnici?

«L'elemento culturale è uno dei grandi temi nell'adozione di tutte le nuove tecnologie. Abbiamo collaborato con SIpEIA, la Società italiana per l'etica nell'intelligenza artificiale: per capire i nuovi confini servono anche figure con una formazione umanistica, che sviluppino il pensiero critico e abbiano un'ampia preparazione culturale. E c'è un altro aspetto importante: bisogna comprendere le conseguenze di ciò che si fa con l'Ia. In tutti gli altri campi è un concetto chiaro: la responsabilità di chi produce un'auto è corale, sia dell'azienda, sia di chi la guida, sia di chi fa le regole stradali. Con l'Ia deve essere lo stesso, ci sono tanti attori che devono camminare fianco a fianco».

Cosa dice ai più giovani, che saranno gli attori protagonisti dell'intelligenza artificiale?

«Di essere curiosi e di impegnarsi. I ragazzi devono essere orientati e preparati per l'Ia. Certo non tutti hanno la vocazione per la tecnologia, però capirne la portata è indispensabile.

La scuola deve offrire percorsi di studio sempre più interconnessi, che forniscano a tutti gli strumenti per vedere i diversi risvolti dell'Ia. Non vuol dire imporre un certo tipo di studio, ma offrire fin dalle medie gli strumenti che permettano ai ragazzi di leggere le opportunità che avranno nel lavoro. Perché possano scegliere una strada valida».

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