
Una giornata, tre partiti. Il lunedì prima di Pasqua, per il segretario della Cgil Maurizio Landini, è stata una vera e propria maratona tra quello che resta del «campo largo». Un tris di incontri. Prima Elly Schlein, poi Giuseppe Conte, infine il duo Angelo Bonelli-Nicola Fratoianni. L'obiettivo? Mettersi alla testa della campagna referendaria per il no al Jobs Act e per la cittadinanza, con l'ambizione di diventare il mastice in grado di tenere unite le opposizioni più di sinistra. Altro che autunno caldo. Quella della Cgil è una «primavera rossa» che è partita con le mobilitazioni sulla guerra in Medio Oriente e la situazione a Gaza e avrà il suo culmine nella campagna referendaria per cancellare il Jobs Act renziano e per la cittadinanza agli stranieri dopo cinque anni di residenza legale in Italia. Landini ha individuato già il perimetro della «sua» alternativa al governo di Giorgia Meloni. C'è il Pd, rigorosamente quello di tendenza Schlein. Quindi i Cinque Stelle pacifisti di Conte e poi i rossoverdi di Alleanza Verdi e Sinistra. Il segretario del sindacato rosso esce dal recinto e prova a fare da battistrada all'opposizione più di sinistra, tagliando fuori dalla piattaforma gli ex sodali del Terzo Polo, Matteo Renzi e Carlo Calenda. Ma già ci sono le prime crepe. A dividere il fronte è la cittadinanza, con Conte che annuncia il sì ai quesiti sul lavoro ma concede «libertà di coscienza» ai suoi per quanto riguarda l'altra consultazione.
La giornata è intensa e inizia alle nove e mezza di mattina al Nazareno, sede del Partito Democratico. Landini vede per due ore Schlein. Lei, all'uscita, si schermisce: «Oggi parliamo solo dei referendum». Il numero uno della Cgil suona la carica. «È il momento, con cinque sì, di cancellare leggi sbagliate, che vuol dire dare diritti alle persone che lavorano, vuol dire dare diritti di cittadinanza a chi non ce li ha, vuol dire rimettere al centro la persona, la qualità della vita, la qualità del lavoro, l'obiettivo è portare a votare milioni di persone», dice all'uscita del Nazareno. Schlein offre ai referendari l'apparato dem, anche se i riformisti non sosterranno l'abolizione del Jobs Act. «Siamo felici di contribuire a questa sfida, di utilizzare tutte le nostre articolazioni territoriali per dare una mano a portare le persone a votare e a convincerle che c'è sempre un buon motivo per andare a partecipare», spiega la segretaria. Landini, nel frattempo, batte sul no al riarmo, sulla scia di Conte. E infatti poi è la volta del leader M5s. «L'incontro con il M5s è andato bene, hanno dichiarato il loro impegno, la loro partecipazione alla campagna referendaria», si spinge in avanti Landini. Smentito a metà da Conte. «Ci siamo sui quattro referendum per il lavoro e per smantellare il Jobs Act», spiega l'ex premier. Che poi si tira indietro sulla cittadinanza: «Il M5s ha avviato un percorso diverso, quello dello Ius Scholae. Abbiamo lasciato libertà di coscienza a tutta la nostra comunità». Insomma, Conte si tiene sempre con un piede fuori. Anche dal campo versione Landini.
Per Fratoianni, invece, quelli di giugno saranno «cinque sì pieni e convinti». E a disfare la tela della Cgil ci pensa anche Italia Viva, che pure si vuole collocare nel centrosinistra. Non sul Jobs Act, però.
«Cancellare il Jobs Act significa cancellare le tutele per chi prima della riforma ne era sprovvisto, per chi perde il lavoro, per le donne lavoratrici, ma soprattutto significa cancellare una legge che ha funzionato», attacca Maria Elena Boschi. Tra i veti incrociati di Conte e Renzi, il campo di Landini è già pieno di buche.
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