
Mi lamentai a suo tempo del totalitarismo degli chef. Una volta si accontentavano di maneggiare gli attrezzi che frullano, lessano, friggono, finché si presero l'ultimo elettrodomestico, il televisore. Ho rivalutato Antonino Cannavacciuolo, il colossale cuoco che nonostante la mole è un prezzemolo che riesce a infilarsi in ogni zuppa. Meglio lui della cipria rosé di Beppe Severgnini e della cantilena archeologica del cantautore Roberto Vecchioni, simpatico solo per il cognome. Viva gli chef purché tengano fuori dalla cucina i giannizzeri che nominerò tra cinque righe. Non sono infatti Cannavacciuolo e gli altri della sua compagnia del mestolo che ci impiattano e ci intortano dagli schermi. È tornata, per rubare l'espressione coniata da Fruttero & Lucentini, la prevalenza del cretino. Io aggiungo: di sinistra. Non sono cretini oso sperare quando si alzano dal letto, litigano con il coniuge per il dentifricio, chiedono un caffè, salgono sul tram. Lo so, sono di sinistra, e hanno un pensiero unico progressista che non li lascia mai. E d'accordo, pensiero è una parola esagerata, ma qualche baluginio di sinderesi ritengo capiti pure a costoro nella vita. Suppongo però che, per obbligo contrattuale, debbano indossare la divisa del perfetto idiota progressista d'Italia, Sud Tirolo compreso. Ammetto che in quei panni ci stanno benissimo. Mi soffermo in particolare sulla rete specialista in talk show, di proprietà di Urbano Cairo. Con La7, di sera ti porti in casa Lilli Gruber, Corrado Formigli, Giovanni Floris; già di mattina e a pranzo ti arriva in tinello David Parenzo, dopo di che, invece del caffè e del grappino per digerire, Tiziana Panella ti offre la stessa minestrina loffia a Tagadà, un programma che già dal nome dovrebbe far torcere le budella. Respirano tutti con un solo polmone, filtrano la luce con occhiali di varie montature griffate, ma le lenti sempre rosse sono. Sempre la stessa solfa. Perché questa ossessione?
Ho due tesi al riguardo. La seconda la lascio in fondo. La prima. Cairo punta sul fascino della stupidità, vera attrattiva inebriante del loro circo, anzi asilo sovietico. La tecnica è questa: si
chiama abuso della noia. Il fenomeno credo sia alla base del marketing di successo di Urbano Cairo che adotta questa strategia del pesce lesso, sempre quello, a ogni ora del giorno e della notte, su qualsiasi tipo di programma e chiunque sia il conduttore. È l'idea della ripetizione sperimentata da Pavlov con i cani e poi trasferita sull'uomo da Stalin e Goebbels, che comporta assuefazione, fidelizzazione, moneta cattiva che scaccia quella buona, e dunque la serenità del sempre uguale, del tutto è come deve essere: che noia, che barba, che noia, che barba, e si tira avanti, come insegnavano quei rimpianti geni di Vianello e Mondaini, i quali però ci divertivano. In questo mondo sottosopra, se navighi sulle onde di Cairo, vedrai girare il pianeta con moto uniforme e qualche volta accelerato, ma comunque sempre verso sinistra. Conduttori di sinistra, ospiti di sinistra, con sobbalzi di ribellione verso la sinistra, ma si badi solo quelli di sinistra possono criticare la sinistra da sinistra. È l'ipnosi da fungo messicano.
Fuori da quei programmi esistono vasti territori, la realtà respira venti dell'Est e dell'Ovest, fa caldo a Nord e freddo a Sud, i colori hanno tonalità di ogni genere a seconda della stagione. Niente: da Cairo c'è sempre il clima del Cairo, siccità.
Le altre reti? Sia Mediaset sia la Rai lasciano spazio a diversi pareri, con una ossessione per la parità. Prevalgono i conduttori orientati verso il centrodestra? Sì, in qualità: sono bravi, e tra loro ci sono un paio di fuoriclasse; quanto al numero, mi pare che il sentimento del Paese tiri di là, e a dirlo sono le urne. Soprattutto rispettano e lasciano spazio ad altre visioni dell'universo e dell'Italia nelle loro trasmissioni. Ma quelli di sinistra che accettano di intervenire, trattati sempre con correttezza dai Vespa, Del Debbio, Giordano, Porro eccetera, sono bollati come dei deficienti da scomunicare dagli intellettualini del coro di Gruber & C. Vedi Pino Corrias, che ha provato a mordere, su Il Fatto quotidiano, Paolo Del Debbio e chi accetta il suo invito. Lo descrive come affetto da «devozione populista
nella quotidiana ginnastica di insolenze che fanno ridere i suoi ospiti, specialmente quelli della sinistra più sciocca, che corre contenta a fare da pietanza alla sua cena mediatica intitolata 4 di sera, dove gli ingredienti vengono scottati sulla brace della cronaca voltata in politica». Si tratta sia pure scritto in un italiano da fighetto di un Ukaze diretto a minacciare chi è di sinistra perché non ci vada. Trattasi di un'ideologia che una volta si sarebbe detta libanese: ghetti degli appestati, e quartieri della gauche al caviale. Guai a frequentare i canali avversi, guai se fossero comunicanti. Una divisione per razze. Apartheid. Quelli di sinistra vanno solo dove si leccano tra di loro.
Nell'ultima stagione televisiva la tendenza monocromatica dei campioni de La7 si è fatta ancora più maniacale. Formigli e Floris hanno adottato questo espediente: chiamano un tipo famoso rigorosamente di sinistra a inizio programma, e gli fanno un'intervista infinita con il tono di chi interroga il guru che ha la verità nel borsellino. Ed ecco Roberto Saviano, Michele Serra, Romano Prodi, Massimo Giannini, Corrado Augias, Massimo D'Alema estrarre dalla tasca, con incantevole umiltà e compunzione, i fagioloni delle loro balle fatte passare per monete d'oro.
Risultati. Più La7 va a sinistra, più la sinistra perde. Il Pd, secondo l'analisi di Pagnoncelli per il Corriere della Sera, ha perso punti (è il dato di ieri, e riguarda l'ultimo mese).
Dal settembre 2022, quando vinse la Meloni, il centrodestra ha guadagnato il 5 per cento (lo dice Youtrend che fa la media dei sondaggi tra tutti gli istituti di ricerca). Che sia questa la vera strategia dell'editore e presidente del Torino Calcio? Insomma, Urbano Cairo ha successo di pubblico: la Rete va bene, ma la sinistra va male. E siamo tutti contenti.
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