L'apertura del Giubileo ci insegna a sperare

La realtà è dura, terribile, raramente asseconda i nostri desideri, è fatta di fatica e di dolore. Eppure noi la affrontiamo ogni giorno per lo strano presentimento che dentro la realtà si nasconda un tesoro

L'apertura del Giubileo ci insegna a sperare
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Questo Natale apre l'anno del Giubileo, che sarà intitolato alla speranza. Il cristianesimo ha onorato questa parola con l'iniziale maiuscola, ponendola con la fede e la carità tra le virtù fondamentali, che vengono da Dio e a Lui ci legano.

Non tutti, si sa, l'hanno pensata allo stesso modo. Gli illuministi ad esempio deploravano la speranza, che a loro avviso origina immobilità e fatalismo ed è nemica del progresso.

Ma noi - credenti o non credenti - possiamo davvero vivere una sola giornata, una sola ora senza speranza? Ogni mattina sappiamo che quello che succederà durante il giorno non dipenderà da noi se non in piccola parte. Quindi speriamo che sul lavoro le nostre idee siano approvate, che nostro figlio prenda un bel voto in matematica, che lei accetti l'anello, che la nostra squadra del cuore vinca. Tutte cose che possono succedere ma anche non succedere. Per questo speriamo: è normale, è umano. Noi milanesi usiamo la parola sperèm di solito quando non speriamo affatto, anzi. Intendiamoci, un po' di scetticismo ci vuole, è indispensabile, perché ccà nisciuno è fess': se la speranza dipendesse solo da qualcosa che sta nel futuro, allora ok, sarebbe proprio una cosa da fessi. Ma non è così. La speranza non si basa sul futuro ma sull'oggi, sul qui e ora. Chi rischia ora dando vita a un'impresa lo fa perché nel tempo si sviluppi, perché cresca e dia frutto. Questo è sperare. Quindi la speranza richiede realismo, coraggio, intelligenza, senza i quali l'albero si secca. Ogni vera fede religiosa per esistere deve avere un fondamento nelle cose umane. Sperare in Dio è un'azione uguale a quella dell'imprenditore che apre una nuova azienda. In altre parole, si può sperare solo se Dio è qui, ora: non è né un'illusione né un augurio e nemmeno un appiglio per le nostre insicurezze. Solo così si può costruire con fiducia. Il Natale è l'emblema della speranza. È nato un bambino, il mondo non lo può negare, addirittura un uomo di potere, Erode, cercherà di ucciderlo, ha paura che questo bambino gli porti via il trono, perché il potere si fonda sulla paura. La realtà è dura, terribile, raramente asseconda i nostri desideri, è fatta di fatica e di dolore. Eppure noi la affrontiamo ogni giorno per lo strano presentimento che dentro la realtà si nasconda un tesoro.

Forse non troveremo mai quel tesoro, ci dovremo accontentare di sentirne parlare. Ma il Natale è l'annuncio che quel presentimento non è un sogno. Anche se non lo sappiamo, è per questo che brindiamo, tagliamo il panettone e ci scambiamo regali: per questa speranza.

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