Nel Giorno della memoria ricordiamoci di spegnere tutti i focolai di guerra. Incluso quello che è in noi

Pace non è solo assenza della guerra e silenzio delle armi, ma è un clima rinnovato di dialogo costruito sul principio della reciprocità, tutelando identità e differenze

Nel Giorno della memoria ricordiamoci di spegnere tutti i focolai di guerra. Incluso quello che è in noi
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«Quando tace la storia, grida la geografia». Non ricordo dove ho sentito questo detto, ma è quanto mai veritiero in questa vigilia del Giorno della Memoria che ha i pallidi ma speranzosi colori dell'alba per una tregua. Se tace la linea della storia, se in modo assurdo non ci si vuole ricordare quanto già si è vissuto, grida la geografia trasformando i confini in trincee. Un vero peccato! Per questo oggi vorrei mettere in confessionale il mappamondo e gli farei tre domande.

La prima: sai cosa vuol dire «shoah»? Letteralmente in ebraico significa «annientamento». Il concetto è preso da una pagina biblica dell'Antico Testamento - testo sacro per ebrei e cristiani - dove il profeta Isaia dice all'umanità (47,11): «Ti verrà addosso una sciagura che non saprai scongiurare, ti cadrà sopra una catastrofe che non potrai evitare. Su di te piomberà una tempesta devastante (shoah) che non prevederai. Tu pensavi: io sarò signora, sempre! Ma d'improvviso piomberanno su di te vedovanza e perdita dei figli, nonostante la moltitudine delle tue magie. Voluttuosa te ne stavi sicura e confidavi della tua malizia dicendo: nessuno mi vede. Dicevi in cuor tuo: io e nessuno fuori di me».

La seconda domanda per il mappamondo, allora, la prendo da un dialogo del film Star Trek: «Devo ricordarti la 76esima regola dell'acquisizione?». «La 76esima?». «Una volta ogni tanto dichiara la pace». «La pace?». «Sì! Non dichiarare guerra, ma dichiara pace: niente

è più efficace per confondere il nemico». Pace non è solo assenza della guerra e silenzio delle armi, ma è un clima rinnovato di dialogo costruito sul principio della reciprocità, tutelando identità e differenze. Per usare un gioco di parole: «Non è bello ciò che è bellico, ma è bello ciò che è pace». Il peccato grave contro la memoria, quindi, non riguarda solo il passato, ma anche il presente. Il conflitto in Medio-Oriente tra Israele, Palestina e i Paesi limitrofi, ormai da circa 500 giorni occupa le pagine dei giornali insieme a quello perdurante e lacerante tra Ucraina e Russia. Oltre a queste due, i conflitti dichiarati, in corso ora nel mondo, sono 58. È stato stabilito che si considera «guerra» una situazione che causa più di mille morti all'anno. Vanno ricordate Nigeria (10mila morti), Tigray e Sahel in Etiopia (9mila), Repubblica democratica del Congo (6mila), Yemen, Birmania, Somalia, Burkina Faso, Mali, Sud Sudan, e poi Iraq, Siria, Afghanistan, Libano, Libia, Maghreb, Repubblica Centro-Africana, Mozambico, Camerun, Myanmar, Pakistan e India (Kashmir). Vanno considerate anche le FARC in Colombia e la guerra dei narcos in Messico. Papa Francesco ha ripetuto spesso la sua convinzione che «stiamo vivendo la terza guerra mondiale a pezzetti».

La terza domanda quindi è: tra queste 60 quale è la più pericolosa? Secondo me è la 61ma, perché è il lievito madre delle altre. È la guerra anonima, silente, nascosta che c'è dentro di noi e intorno

a noi. Quante volte in famiglia si deve piangere per arrivare a dialogare, come negli attacchi tra nazioni? La guerra noi ce l'abbiamo dentro i nostri appartamenti, nei luoghi di lavoro, nelle istituzioni, nei campi sportivi, nelle trasmissioni televisive, nei social che traboccano di odio, rancore, vendetta, violenza. La guerra noi ce l'abbiamo dentro il nostro modo di ragionare ottuso che rade al suolo, nel nostro sparare nell'anima a chi non fa ciò che vogliamo, nei nostri rapporti ossessivi, possessivi, pretenziosi, che lasciano macerie di storie che abbiamo bombardato. La guerra noi ce l'abbiamo dentro quando non riconosciamo le ragioni o le sofferenze dell'altro, quando la furia prevale sul buonsenso, quando sputiamo veleno senza conoscere i fatti e le ragioni, quando epuriamo chi ci è sgradito o non è allineato o alleato, quando ci sembra normale offendere, insultare, aggredire, quando senza ritegno ci si adira accusandosi delle peggiori nefandezze.

Insegnava Madre Teresa di Calcutta: «Cosa si può fare per promuovere la pace nel mondo? Vai a casa e rispetta chi hai vicino, dialogando. La pace inizia con un sorriso, anche a chi non vuoi sorridere». È proprio vero: non è bello ciò che è bellico, ma è bello ciò che è pace.

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