Va difeso il coach di Jacobs, i vermi di Macron e Vannacci: quindi, oggi...

Quindi, oggi...: Repubblica non capisce la satira, il caso dell'atleta "fluido" e il Villaggio Olimpico

Va difeso il coach di Jacobs, i vermi di Macron e Vannacci: quindi, oggi...

- Nikki Hiltz è un'atleta californiana che si identifica con il genere fluido. Cioè non lo sa bene neppure lei. E ci tiene a farlo sapere che corre i 1500 per la comunità Lgbtxyz. Legittimo. Il punto è che ovviamente Nikki non comprende il paradosso della sua condizione: non si sente “donna”, bensì fluida, ma decide di gareggiare con le donne. Perché? Se si sente “trangender e non binaria”, come sostiene, dovrebbe chiedere di transitare verso gli uomini (il che, ovviamente, non le conviene: non vedrebbe neppure la pista). Nikki in realtà ci sta confermando che i sessi, al netto di situazioni limite varie, come i disordini dello sviluppo sessuale, sono due: maschio e femmina. Poi sei libera di percepirti come preferisci, ovviamente. Ma sei donna e tale rimani.

- In Germania un’attivista pro-Palestina rischia fino a 3 anni di carcere per aver urlato lo slogan “dal fiume al mare”. Ora, si tratta di un grido di battaglia odioso visto che presume la non esistenza di Israele. Però condannare una persona a tre anni di cella per aver sostenuto una tesi, per quanto bislacca, è fuori dalla nostra concezione di liberalismo democratico. Perché oggi lo applicano ai pro-Pal, ma domani potrebbero farlo con chi sostiene che mare è blu. Occhio, perché il passo è breve.

- Una qualche ragione, Carlo Calenda, ce l’ha quando sostiene che “se Matteo Renzi domani deve fare un’alleanza con Casa Pound” perché gli conviene per chissà quale motivo, “allora la fa”. Come a dire: cara Elly, non fidarti dell’ex rottamatore interessato solo a ciò che più gli può essere utile.

- La Senna è quel fiume miracoloso in cui è vietato fare le prove libere ma magicamente si ripulisce in tempo per le gare. Patetici.

- L’Iba torna a ripetere che Imane Khelif e Lin Yu-Ting secondo due test “non sono uomini”. O comunque presentano anomalie che mettono in dubbio la legittimità della loro partecipazione alle gare olimpiche femminili. Come ne usciremo? Non ne usciremo mai. E per un motivo semplice: né l’Iba né il Cio possono diffondere i dati medici per motivi di privacy, a meno che le due atlete non diano il loro consenso. E dubito lo faranno. Quindi ci troviamo nella paradossale situazione per cui una federazione mondiale sostiene la mascolinità delle due pugili e un’altra il contrario. I media intanto si stanno dividendo tra chi tifa per il Cio e chi per l’Iba, dai più descritta come un'organizzazione dedita alle corruzione e agli scandali. Dunque non attendibile. Vero? Certo. Ma se il metro di giudizio è questo, allora dovremmo tenere conto dei tanti scandali che hanno attraversato negli anni il Cio, soprattutto sull’assegnazione dei Giochi Olimpici a questo o a quell’altro Stato. Giusto per citare un fatto storico: nel 1998, l’ex vicepresidente del Cio disse che tra il 5% e il 7% dei membri del Comitato era coinvolto in atti di corruzione fin dai tempi delle votazioni per le edizioni di Atlanta (1996), Nagano (1998) e Sydney (2000).

- Ieri il Cio ha affermato che i test del Dna non sono considerati validi perché “è una questione di diritti umani: sono test non leciti e condotti in modo arbitrario”. Frena. Una cosa è sostenere che i test del Dna siano stati condotti malamente o truccati, un’altra è sostenere che non si debbano verificare i cromosomi delle atlete donna. Perché se ci si basa solo sul documento (che può essere modificato) e sul testosterone (che può essere abbassato), allora non ci sto. Perché il caso di Imane Khelif non deve aprire le porte a quegli uomini che nei loro Paesi possono fare una transizione ormonale o chirurgica, abbassare i livelli di testosterone e magari farsi cambiare il nome nei documenti. Sarebbe inaccettabile. 


- Qualcosa non mi quadra nella dichiarazione di Thomas Bach, gran capo del Cio, sul caso di Imane Khelif. Dice: “Una donna che è nata, cresciuta, ha gareggiato e ha un passaporto da donna come può non essere considerata una donna?”. Occhio, perché qui allora viene meno anche la questione dell’essere o meno “intersex”. Voglio dire: se la questione sta tutta nel passaporto (“è nata donna e c’è scritto sulla carta di identità”), allora non ha senso neppure mettere dei limiti al testosterone: secondo questa tesi, che non condividiamo, se una donna dsd produce più ormoni maschili delle altre andrebbe considerata solo baciata da madre natura. Nessuno avrebbe mai osato squalificare Usain Bolt solo perché aveva le gambe più lunghe della media, no? Ecco. Il punto è che qui non stiamo parlando né di transizione di genere né di identità scritta sui documenti. Qui siamo di fronte all’ipotesi che le due atlete possano avere una condizione medica particolare (intersex? iperandroginia? cromosmi XY? testicoli interni?) che non può non essere analizzata in maniera scientifica. Il Cio non deve dirci se i test del Dna di Imane e Yu-Ting sono “leciti” o “arbitrari”, ma se sono “validi”. Cioè se hanno un fondamento scientifico. Sulla base di questo, e solo di questo, possiamo discutere delle regole: visto che la World Athletics non è un gruppo di fascistoidi ma ha imposto paletti molto più rigidi del Cio, e infatti Semenya l’hanno esclusa senza troppi complimenti, è lecito domandarsi se il Comitato sugli atleti Dsd sia un tantino troppo “inclusivo”. Ripeto: se un nuotatore nascesse con tre braccia, non ci domanderemmo se sia giusto o meno che gareggi con chi può muovere l’acqua solo con due mani?

- Dice il medico greco Ioannis Filippatos, ostetrico-ginecologo già presidente della commissione medica dell’Iba: “I risultati medici del sangue ci hanno detto che queste pugili sono uomini. Non ero lì il giorno in cui sono nati. I risultati di laboratorio mostrano che hanno cariotipi maschili”. Io non so se ha ragione. Ma non capisco nemmeno perché per partito preso debba avere torto. Abbiamo dato credito per anni a ogni tipo di virologo, anche quando prendevano abbagli, e stavolta ce ne infischiamo di un medico che dovrebbe sapere il fatto suo?

- Il problema non è trovare i vermi nel pesce alla mensa del Villaggio Olimpico, come denunciato oggi dal nuotatore britannico Adam Peaty. Può succedere anche nei migliori ristoranti. Il dramma è che in nome della sostenibilità si sia arbitrariamente deciso di ridurre la quantità di carne e proteine, benché tutti sappiano che il primo alleato di un atleta sono le energie che ingerisce a pranzo e a cena. Ora. Mettete insieme il cibo poco apprezzato dagli atleti, l’assenza dell’aria condizionata, i letti di cartone e domandatevi: che senso ha rendere “green” le Olimpiadi in questo modo, visto e considerato che si tratta di un evento di per sé inquinante? Voglio dire: per far arrivare le delegazioni da tutto il mondo saranno decollati centinaia di aerei. Per mandare in onda l’evento sono stati mobilitati centinaia di lavoratori, troupe che si spostano da un posto all’altro in auto, trasmissioni che consumano energia, luci sparate h24, irrigazione del prato dello stadio, consumo dei dati per lo streaming, eccetera eccetera eccetera. Ogni singolo secondo di queste Olimpiadi ha “inquinato” il pianeta. Che senso ha, allora, accanirsi e tentare di ridurre l’impronta di carbonio del villaggio olimpico? Non vi è ragione alcuna: l’impatto ambientale di Parigi 2024, se va bene, sarà lo 0,000001% dell’inquinamento globale in queste due settimane. Si chiama greenwashing, fatto però sulla pelle degli atleti che si sono allenati quattro anni per ritrovarsi, nei giorni più importanti della loro vita, a dormire in giardino. Ma in fondo rappresenta alla perfezione l’approccio europeo al tema: tagliarsi le gambe in nome della sostenibilità, anche se il vantaggio reale a livello globale è prossimo allo zero.

- Il mondo al contrario di Roberto Vannacci si fa anche “realtà politica”. Significa che il Generale farà nascere un partito? È presto per dirlo. Ma possiamo già facilmente affermare che si tratterebbe di un progetto suicida. Fondare un partito dal nulla è roba complicatissima: servono soldi (molto più di 30 euro a testa di chi si iscrive) e soprattutto contatti sul territorio, cioè persone che già masticano politica e che decidono di aiutarti nell’impresa. Non credo che il generalissimo, per quanto brillante, abbia la forza di portare a termine una missione così complicata.

- Il dibattito sugli atleti olimpici italiani poco “cattivi” sta coinvolgendo i nostri schermidori e intellettuali del calibro di Aldo Cazzullo. In questo caso ha ragione quest’ultimo. Ci sono due diverse categorie di sport: quello che si fa per divertimento e per tenersi in forma, chiamato “amatoriale”; e quello professionistico, che è un lavoro a tutti gli effetti. Il professionista deve aspirare con tutte le sue forze alla vittoria, sempre e comunque. Se questa naturale ossessione verso il podio fa “soffrire” psicologicamente e l’atleta non si diverte, allora è un problema suo e forse dovrebbe scegliere di cambiare mestiere. Ma se vuoi essere un “campione” devi mostrare ferocia. Oppure non arriverai lontano.

- Il coach di Marcell Jacobs, Rana Reider, è stato espulso dalle Olimpiadi di Parigi del 2024 dopo essere stato accusato di abusi sessuali ed emotivi da parte di tre donne. Vale per lui lo stesso discorso fatto per tanti altri casi simili: non avendolo pizzicato in flagranza, ma trattandosi solo di denunce, per quanto odiose, bisogna considerarlo innocente. Dunque revocargli il pass adesso è una scemenza. Vi ricordate il caso di Fausto Brizzi? Lo hanno linciato, poi due anni dopo il tribunale ha archiviato il tutto “perché il fatto non sussiste”. Occhio a creare mostri.

- Niente. Repubblica non ha ancora capito che la pagina Facebook di Atreju fa satira.

Come possiamo spiegarglielo?

- Se vai a Mosca e con la Russia in guerra fai volare un drone vicino al Cremlino, quale che fosse il tuo obiettivo, un po’ cretino lo sei. Non ti viene in mente che rischi di essere arrestato?

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