Piangere ci rende davvero umani

Le sfumature nelle lacrime e le ragioni per cui si piange

Piangere ci rende davvero umani
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Carissimo direttore Vittorio Feltri,
vorrei la sua opinione su questa mia riflessione: oggi piangono tutti, chi è triste e chi è felice, chi vince e chi perde, adesso anche chi fa portare le corna. Se non si piange non si è sufficientemente credibili. Il pianto rafforza il sentimento. Quando ero bambina non sopportavo il rimprovero «piangi come una donnicciola». Lei, direttore, cosa ne pensa? Un caro ed affettuoso saluto.
Cristina Amisano

Cara Cristina,
il pianto funziona e funziona sempre. E questo è il motivo per il quale viene tanto adoperato e, sia uomini sia donne, non si imbarazzano più né si nascondono allorché si tratta di mostrare le proprie emozioni, ossia felicità, dolore, pentimento, rabbia, senso di colpa, umiliazione, disperazione, sotto forma di lacrime. Una volta era diffusa una sorta di pudicizia. Venivamo educati a non esibire quanto si agitava nel nostro animo, adesso chi lo espone viene automaticamente celebrato in quanto ritenuto autentico. Ecco, direi che le lacrime piacciono poiché, in un mondo in cui trionfa ormai la finzione, esse ci lasciano immaginare che chi le versa sia vero. E di verità abbiamo fame, anzi, in tal caso, direi sete. È un progresso o un regresso la nostra propensione al piagnisteo? Se il pianto non è costruito, esasperato, strumentale, secondo me, l'essere in grado di mostrarsi vulnerabili è un atto di coraggio e pure di libertà, qualcosa che io stesso ammiro, io che non mi vergogno di commuovermi, a volte per motivi che possono risultare ridicoli ma che pure mi scuotono profondamente e mi stritolano l'anima e il cuore: un gattino o un cagnolino abbandondati e in cerca di casa, la morte del mio gatto, la carezza di un bambino, il ricordo di un amico che non c'è più, una parola d'amore. Chi lo sospetterebbe che Feltri, il cinico Feltri, sia così delicato? Il pianto non è appannaggio delle femmine, qualcosa da donnette, come sottolinei tu, espressione che ti procurava un certo comprensibile fastidio. Non consideri che tale espressione non è soltanto sessista verso la femmina ma anche verso il maschio, al quale di fatto è stata culturalmente negata la possibilità di versare lacrime. Il pianto è proprio dell'essere umano. E credo anche delle bestie, che un'anima ce l'hanno, eccome.

Il problema non è quindi nelle lacrime, bensì nella lagna, ossia nel vittimismo imperante, quel meccanismo che ci porta a farci e dirci tutti sempre vittime di qualcosa o di qualcuno. È una gara a chi lo è di più. Il vittimismo è oggi reputata una chiave valida per il successo, in quanto la vittima piace, suscita sentimenti di solidarietà, con le sue lacrime induce chi osserva a trattarla con riguardo, con clemenza, con dolcezza, pure ove abbia sbagliato.

Arriveremo al punto che dei lacrimoni ne avremo abbastanza dopo averne visti tanti in televisione, nei reality show (così si chiamano?), nel corso delle interviste a questo o a quel personaggio, il quale deve piangere poiché il pubblico ormai se lo aspetta, nei dibattiti di ogni genere dove chi è sensibile dovrebbe lacrimare davanti a certe immagini. Per anni i pianti hanno sollevato gli ascolti, ma abusandone può darsi che non faranno più il medesimo effetto. Lasciandoci dunque indifferenti. Anche perché il rischio è che la gente si renda conto che alcune lacrime non siano poi così veritiere, ma simili a quelle del coccodrillo. Allora il risultato è opposto rispetto a quello auspicato: colui che singhiozza non produce simpatia ma insofferenza e antipatia.

Ho colto il tuo riferimento al ministro appena dimessosi Gennaro Sangiuliano il quale, intervistato dal direttore del tg1 Gian Marco Chiocchi, si è commosso nel momento in cui ha pensato alla moglie. Ti posso garantire che quelle lacrime erano vere e incontrollabili. Le lacrime di un uomo pentito, replicheresti.

E allora? Valgono forse meno di altre? Io ti direi: no, non erano le lacrime di un uomo pentito, ma le lacrime di un uomo capace di ammettere i suoi errori, di scusarsi. Si può piangere perché qualcuno ci ha fatto soffrire, facile questo, no? E si può piangere perché noi abbiamo fatto soffrire qualcuno. Operazione forse ben più difficile.

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