Il ramadan e i diritti invocati a senso unico

In realtà non si tratta di una esigenza sentita ma dell'ennesima buona occasione per fare dell'inutile vittimismo

Il ramadan e i diritti invocati a senso unico
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Caro Direttore Feltri,
gli studenti universitari islamici si sono mobilitati sia a Milano che a Bologna per chiedere la sospensione delle lezioni e la chiusura delle classi durante l'ultimo giorno del Ramadan. Una richiesta nuova, che non era mai stata avanzata prima che la scuola di Pioltello e l'Università per stranieri di Siena sospendessero le lezioni il 10 aprile per la fine del mese sacro, «in segno di rispetto e di condivisione» e anche «per solidarietà nei confronti della popolazione palestinese di Gaza».
Insomma, se questa esigenza non era sentita fino a ieri, perché è tanto sentita oggi?
Giovanna Biale

Cara Giovanna,
in realtà non si tratta di una esigenza sentita ma dell'ennesima buona occasione per fare dell'inutile vittimismo e chiedere diritti che si dicono violati ma che pure non esistono, in quanto - diciamolo chiaramente - nessuno ha il diritto di ledere i diritti costituzionali altrui nel giorno in cui ricorre una festività religiosa che non è neppure quella che appartiene alla tradizione dello Stato e del popolo ospitanti. Chiudere scuole e università, di fatto, danneggia il diritto costituzionale allo studio di migliaia e migliaia di studenti oltre che il diritto al lavoro di chi in quegli istituti e in quelle università lavora.

Nessuno nega la libertà religiosa o quella di celebrare una ricorrenza sacra, ma lo si faccia senza disturbare il prossimo, senza pretendere che il mondo intero si fermi per questo, senza imporre le proprie usanze e credenze agli altri, senza farne una questione politica. Non ho mai sentito di cristiani che abbiano ordinato ai non cristiani di onorare il Natale o la Pasqua, di addobbare il presepe, di indossare il rosario, di esporre il crocifisso, di sigillare supermercati, attività varie, scuole di ogni ordine e grado in base al calendario cattolico. Quindi perché mai noi ci sentiamo obbligati a privare i nostri bambini e ragazzi del diritto allo studio nei giorni in cui i musulmani decidono di digiunare? Insomma, detto in due parole, affari loro.

Sufficiente è stato tendere una mano per ritrovarsi tutto il braccio divorato. Insomma, da una concessione derivano cento pretensioni. Dalla chiusura di una scuola in provincia di Milano è nata una mobilitazione collettiva che si sta estendendo da una città all'altra per domandare che tale sospensione divenga un costume italiano, venga estesa e normalizzata. Noi non ci stiamo. La nostra religione non è islamica, noi non festeggiamo il Ramadan, noi non riconosciamo le leggi coraniche, noi non ci rispecchiamo nei principi e nei valori dell'Islam, non siamo a favore del velo, dell'infibulazione, del matrimonio precoce e potrei continuare. Dunque per quale dannato motivo dobbiamo restare in casa l'ultimo dì del Ramadan? È uno scherzo?

Il diritto di digiunare degli islamici non può né deve limitare il mio diritto di studiare, di recarmi a scuola, di frequentare la facoltà, di lavorare, di sostenere esami, di studiare, fosse anche per un'ora. Chiederlo è sbagliato, pretenderlo è criminale.

Preoccupa il fatto che, in relazione agli immigrati, si ciarli soltanto di diritti e mai di doveri, che si accompagnano e sono l'altra faccia dei primi. Lo stereotipo del migrante, meglio se musulmano, sempre vittima dell'italiano, dell'uomo bianco, del fascista, che nega i suoi diritti e lo perseguita, è totalmente falso.

Nessuno proibisce a questa gente di osservare le proprie leggi e i propri usi, ci mancherebbe altro. Tuttavia, lo facesse senza intaccare le nostre esistenze e il nostro vivere quotidiano, senza imporli anche a noi.

Chiamasi «democrazia». Quella sconosciuta...

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