Spesso lo facciamo senza neanche accorgercene. Barattiamo i nostri dati personali in cambio di un misero sconticino del 10 per cento, inconsapevoli o incuranti del fatto che con quel semplice clic a una newsletter ci siamo trasformati in uno dei prodotti più richiesti dal mercato.
I dati personali, infatti, rappresentano oggi, nell'era digitale tra algoritmi e intelligenza artificiale, una ricchezza inestimabile. Tanto che l'Europa impone a tutte le aziende che operano nel nostro mercato di chiedere (e ottenere) un consenso esplicito (opt-in) per accedere alle informazioni personali come impone il Regolamento generale sulla protezione dei dati (Gdpr), considerato una tra le normative più stringenti al mondo. Tutto questo in linea di principio, perché poi in realtà per avere questo consenso esplicito, molte forzano la mano per essere estremamente convincenti, fino a spingersi a limiti estremi per influenzare le scelte dei consumatori.
Secondo un recente studio, «The Race for Data: Utilizing Informative or Persuasive Cues to Gain Opt-in?» di Sara Valentini (nella foto) del Dipartimento di Marketing della Bocconi, Caterina D'Assergio di Marazzi Group, Puneet Manchanda dell'Università del Michigan, Elisa Montaguti dell'Università di Bologna, spesso l'ostacolo viene aggirato. Lo studio, pubblicato sul Journal of Marketing, esamina 1.506 email di adesione di 1.396 aziende inviate dopo l'entrata in vigore del Gdpr. E rileva che circa il 50 per cento delle aziende, anziché puntare su messaggi chiari e informativi, adotta strategie invadenti e persuasive per ottenere il consenso. Il 26 per cento lo fa in modo spudorato, «mentre il restante 24 per cento utilizza un mix di contenuti persuasivi e informativi», spiega ancora Valentini. Per bypassare il regolamento europeo e quindi monetizzare il capitale di dati, utilizza tecniche di framing che evidenziano vantaggi o svantaggi in caso di mancato consenso (esempio «Se non dai il consenso all'uso della tua immagine, potresti essere taggato senza saperlo»), oppure offrono incentivi economici, come sconti del 20 per cento.
«Mentre il regolamento europeo enfatizza la trasparenza, molte aziende utilizzano argomenti persuasivi, come sconti o premi, per incoraggiare il consenso all'uso dei dati personali», commenta la ricercatrice della Bocconi Sara Valentini.
Con una sorpresa per i ricercatori, perché a tentare di essere più persuasivi, non sono né le grosse aziende, né quelle più tecnologiche, tipo le varie Google o Meta. «Paradossalmente sono quelle più tradizionali, con una forte presenza offline a essere più aggressive nei confronti del cliente», assicura Valentini.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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