Come ci si debba vestire a scuola è questione che nasce ai tempi della Grecia classica (non c'entra nulla, ma il nostro modello è l'agoghé spartana).
Comunque. Siamo tutti d'accordo che l'espressione «in modo consono» significhi poco. Adeguato a cosa? Se i ragazzi dovessero vestire in maniera «adeguata» a certi prof, o a certi edifici scolastici, o ad alcuni programmi ministeriali, beh... sarebbero autorizzati a entrare in classe abbigliati come lo Sciamano di QAnon a Capitol Hill.
La discussione torna oggi di moda (è un calembour) perché in una Media di Mediglia, nel Milanese, una ragazza di 11 anni si è presentata in pantaloncini da basket ed è stata rimandata a casa a cambiarsi «in quanto l'abbigliamento non si confaceva agli standard della scuola». La madre si è lamentata, ma la preside non ha ceduto: «Esistono delle regole».
Giusto. Ma poi restano i dubbi. I pantaloncini da basket no; ma se arrivano al ginocchio? I maschi possono portare i pantaloncini e le femmine no? E se fa caldo? Il preside di una scuola di Roma ha autorizzato i bermuda per gli studenti dando la colpa al cambiamento climatico... Non se ne esce.
Personalmente è rimasta nella memoria la volta che il nostro
professore di Italiano al Liceo, in Collegio, ci disse: «Ragazzi, in classe io porto sempre la cravatta. Estate e inverno. Non è una regola, ma una forma di rispetto. Verso di voi».Da quel giorno nessuno di noi mise più la tuta.
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