- Tornano Elena Cecchettin e papà Gino. E lo fanno, giustamente, nel ricordo di Giulia. Nulla da eccepire, a sei mesi di distanza, a chi insiste nel mantenere vivo il ricordo della figlia o della sorella. Preoccupa semmai la retorica di chi commenta e cavalca la vicenda. Di chi parla di “assunzione di consapevolezza collettiva” (ma dove?), di “una narrazione che fatica ad accettare il termine patriarcato” (ma se non si parla d’altro) e scambia tutti i maschi in possibili assassini. Anche basta, grazie.
- Domanda: ma chi è che ha deciso che Sandro Pertini è “il presidente più amato di sempre?”. Certo se il confronto lo fai con Napolitano e Mattarella, Pertini vince facile. Ma è una definizione che non è provabile. E che quindi non ha senso di esistere.
- La proposta è talmente sciocca che non vale neppure discuterla. Gianluca Nicoletti scrive e La Stampa titola: “Perché Meloni e Schlein in tv devono pretendere un arbitro donna”. Insomma: non Vespa, ma tutto in rosa. E sapete cosa fa ridere? Che il giornale più femminista che ci sia usi un tono così perentorio nel titolo per dire a due donne leader cosa devono fare e quale conduttore devono pretendere. Più patriarcale di così…
- Toccante il podcast di Giorgia Meloni sul suo essere madre e premier. Fosse stata di sinistra, l’avrebbero lodata per la sua capacità di mettere insieme due impegni così totalizzanti. Vabbè. La parte più interessante dell’intervista con Diletta Leotta è però un altro, ovvero quando spiega di aver un solo rimpianto: il dispiacere che Ginevra cresca figlia unica perché l’ha avuta a 39 anni e quando ha provato a fare il secondo figlio “non c’era più il tempo”. Uno spunto interessante per ricordarci che la vita, il lavoro, le paure, le predisposizioni culturali: tutto si può capire, ma a un certo punto la natura pone un limite. Ed è invalicabile.
- Vannacci fa una sorta di “retromarcia” su Paola Egonu? No. In realtà va ripetendo la stessa cosa da diversi mesi: considera la pallavolista italiana, ma ribadisce che i suoi tratti somatici non sarebbero quelli più diffusi tra gli italiani. Affermazione che può essere discutibile, certamente, magari fuori luogo, ma non così assurda.
- In Italia abbiamo un problema. Serio. Grosso come una casa. Ovvero il fatto che a tre settimane dal “caso Scurati”, che poi un caso non è mai stato, La Stampa decida di aprire la sua edizione con lo scrittore che denuncia una presunta “deriva illiberale” in Italia. Scurati non sa, o finge di non sapere, che la sua storia non sta in piedi. Per tanti motivi, ma ci permettiamo di segnalarne alcune. Primo: il suo monologo sul 25 aprile non è stato “cancellato” con un metodo antidemocratico, come dimostrano i documenti. La Rai lo aveva previsto in scaletta ed era stato autorizzato l’acquisto dei biglietti del treno e della stanza di hotel. Nessun dirigente che intende censurare uno scrittore si preoccuperebbe di affidare una stanza in un bell’albergo. No? Secondo: Scurati porta come prova di questa “deriva illiberale” gli attacchi personali ricevuti, in particolare il fatto che i ragazzi di Atreju abbiano realizzato alcune vignette per canzonarlo un po’. Solita storia: se l’ironia la fa la sinistra, si chiama satira; se la fa la destra, diventa violenza. Terzo: se vi fosse una deriva illiberale, il monologo presunto cancellato non sarebbe stato condiviso sui social dal premier Meloni, non sarebbe stato letto in diretta da Serena Bortone, rilanciato su tutti i media e lui non sarebbe da quasi un mese invitato a destra e a manca.
- Bisogna concordare con Scurati quando
afferma che “antifascista non sono gli antifà che spaccano vetrine”. Bravo. Hai ragione. E va bene: antifascista lo sono anche la costituzione e Sergio Mattarella. Ma perché annoverare nel calderone anche i sindacati?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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