Molto si discute degli ingenti danni economici provocati da alcuni facinorosi al Liceo Scientifico Severi di Milano. Vedere ridotti a rottami banchi e dotazioni tecnologiche acquistate con i fondi del Pnrr, che peraltro dovremo in buona parte restituire all'Europa, lascia l'amaro in bocca. Ancora peggio però è assistere al fallimento di schiere di giovani che rifiutano quel percorso di formazione che li potrebbe trasformare in cittadini. Alla base c'è la mancata accettazione sia di quel patto sociale che regola qualsiasi umana e civile convivenza sia del principio di autorità. Valore che per le generazioni che li hanno preceduti era monolitico ma che ora mal si accompagna con la «democrazia» dei social, dove un «like» vale sempre uno, indipendentemente dal peso specifico di chi sia a firmarlo. Quindi senza nulla guardare al merito o alla preparazione di chi affida il proprio giudizio alla rete.
Eppure basterebbe «ascoltare» le parole per trarre la conferma che lo Stato e quindi la scuola, che ne è una emanazione, non può funzionare così, se non accettando di schiantarsi nell'orrido dell'anarchia. Il termine maestro, magister in latino, contiene infatti nella sua radice l'avverbio magis che significa «di più», quindi in qualche modo anche «più grande». È quel necessario senso di distanza, di rispetto tra docente e allievo, che emerge nel ricordo delle vecchie cattedre poste su una pedana non solo per beccare bigliettini o copioni. Compito dell'insegnante è infatti trasmettere la propria conoscenza-esperienza e quello dello studente di farne tesoro. A ben guardare, infatti, l'imperativo morale della scuola non è certo quello di insegnare a risolvere una disequazione o a riconoscere il caleidoscopio di sfumature riflesse nell'aoristo ma è accompagnare i giovani a identificare il proprio posto nel mondo. Tanto che dagli anni del miracolo economico le scuole erano viste dalle famiglie come l'ascensore sociale più affidabile per migliorare insieme reddito e qualità di vita. Nelle case operaie le mogli, quando la sera osservavano il marito cenare esausto con addosso la tuta da lavoro e nelle orecchie il gracchiare del tg, pensavano al profumo del colletto inamidato di una camicia di popeline bianca. All'epoca quasi un trofeo da sfoggiare steso al balcone per il raggiunto diploma della prole. Altri genitori sognavano di vedere i figli diventare dottori, magari all'università serale mentre contribuivano a mantenere i fratelli minori. Anche questa ambizione oggi è difficile da comprendere rispetto alla cornucopia di ricchezze che sembrano accumulare gli influencer alla velocità con cui guadagnano clic. Proprio però perché interrogare l'etimo è il modo migliore per tornare alle radici del modo di pensare di chi ci ha preceduto, vale la pena ricordare che studium significa applicazione, diligenza, cura, passione. In sintesi essere studenti equivale quindi a cercare di far brillare, come fossero stelle, il firmamento dei propri desideri.
Non distante dal Liceo Severi, finito ai disonori delle cronache al punto da costringere ieri il ministro Giuseppe Valditara (nella foto) a un sopralluogo, c'è la sede del milanesissimo Liceo Classico Beccaria.
Ai ragazzi che, terminate le medie, si iscrivono al primo anno consegna un volumetto con i compiti delle vacanze intitolato «Estote Parati». Imperativo futuro che equivale a un'invocazione agli studenti: «Siate pronti, siate preparati» ad affrontare il Liceo, così come la vita. Ergo: impegnatevi e sfiorerete le stelle.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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