È tardi, forse, per ribellarsi. Dell'Intelligenza artificiale non ci libereremo più. È subdola, pervasiva e soprattutto parassitaria. Non potrebbe esistere senza quella naturale, né senza i miliardi di dati che i modelli di cosiddetta intelligenza artificiale generativa ingeriscono, digeriscono, riprogrammano per servirceli alla tavola calda dei contenuti sfornati non già da una mente umana, ma da una macchina. Agli artisti della parola non sta più bene. Quelli di lingua inglese, riuniti nell'associazione Authors Guild, hanno firmato e spedito in 8.000 una lettera indirizzata agli amministratori delegati di OpenAI, Meta, Microsoft, Alphabet, Ibm e Stability AI, cioè ai grandi vampiri che succhiano il sangue alla loro opera omnia. Fra di essi, Margaret Atwood, Jonathan Franzen, James Patterson, Suzanne Collins e Viet Thanh Nguyen.
Volete copiarci, elaborarci, rivenderci? Almeno pagate il diritto d'autore, dice la missiva: «Queste tecnologie imitano e rigurgitano il nostro linguaggio, le nostre storie, il nostro stile e le nostre idee. Milioni di libri, articoli, saggi e poesie protetti da copyright forniscono il 'cibo' per i sistemi di AI, pasti infiniti per i quali non è stato presentato alcun conto», scrivono. «State spendendo miliardi di dollari per sviluppare la tecnologia AI. È giusto che ci compensiate per l'uso dei nostri scritti, senza i quali l'AI sarebbe banale ed estremamente limitata».
Non sono contro l'AI, sono contro quella gratuita. In effetti il risultato di queste manipolazioni cibernetiche per ora fa abbastanza schifo. Però minaccia le arti e le tecniche che prevedono l'uso della lingua. Narrativa, saggistica, sceneggiatura e drammaturgia possono essere assimilate e risputate da un sistema digitale che le rende verosimili.
E questo avviene per due ragioni: la prima è che spesso gli originali umani sono modesti, risentendo di un'omologazione delle idee, della forma e del pensiero che li rende facilissimi da imitare. La seconda è che chi legge ha sviluppato una tal bocca buona che si beve di tutto, non riuscendo più ormai da decenni a distinguere l'originale dal farlocco. Insomma, di questi 8.000 scrittori imbestialiti è probabile che parecchi si sentano sfuggire un osso già in gran parte spolpato. In loro si sente la paura, per carità legittima, di essere superati da una tecnologia che li relega nell'angolo delle loro precedenti certezze. Temono che l'intelligenza artificiale sia più intelligente di loro. Di sicuro ormai lo è più di quella dei loro lettori. In tutto ciò ieri anche la Confindustria, per bocca del suo presidente Innocenzo Cipolletta ha detto la sua, invocando il rispetto del diritto d'autore per la salvezza dell'industria culturale.
Un comunicato che contiene passi come questo: «Come settore abbiamo approvato un position paper inviato a tutti gli interlocutori istituzionali di riferimento sul tema» è in grado di mettere in crisi qualunque modello di falsificazione elettronica.
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