Avanti con le bollicine d'oro Così i veneti si lanciano alla riconquista delle vigne

Gli imprenditori investono su colture remunerative: il Prosecco vale un terzo del mercato del Nord-Est

di Stefano Filippi

nostro inviato a Treviso

C'erano una volta i polentoni. Coltivatori di mais e divoratori di polenta. Veneti, soprattutto. Ma anche lombardi, emiliani, piemontesi. Oggi il granturco sta sparendo dalle tavole ma soprattutto dalle campagne venete. «Quest'anno sono state seminate a mais da granella la metà delle superfici del 2000», dice Marco Aurelio Pasti, presidente del settore seminativi di Confagricoltura Veneto e tra i maggiori produttori. Il mercato non tira più? Tutt'altro, soprattutto nell'alimentazione animale che assorbe l'85 per cento del mais raccolto. Spiega Pasti: «Produttori di mangimi e allevatori aumenteranno ancora le importazioni. Per coprire la domanda nazionale si spendono 800 milioni di euro».

La crisi del mais è profonda e meno conosciuta, per esempio, rispetto a quella del grano per cui la Coldiretti a metà luglio ha portato migliaia di aderenti a protestare davanti al ministero dell'Agricoltura. Le cause principali sono due: le conseguenze di una politica agricola disastrosa e la qualità sanitaria (non organolettica, che è tra le migliori al mondo) della produzione italiana. «I contributi comunitari si sono ridotti dice Pasti -. L'Ue ha privilegiato i nuovi Paesi dell'Est e ha creato condizioni più favorevoli per altre colture come la vite, riducendo i margini per il mais italiano».

L'OSSESSIONE DEGLI OGM

«L'altro problema è la presenza di muffe e micotossine causate dalla piralide. La guerra agli Ogm per noi è stata letale. Anziché studiare i problemi e consentirci di coltivare varietà resistenti ai parassiti, si è preferito cavalcare la fobia. All'estero non hanno questi ostacoli. Quasi tutta la soia importata per i mangimi, per esempio, è Ogm, con minori consumi di energia, di acqua, di suolo e maggiori garanzie sanitarie. È paradossale che prodotti come il parmigiano o i prosciutti, orgoglio del made in Italy, siano ottenuti da bestie nutrite con materie prime geneticamente ricombinate».

Nel 2000 l'Italia era autosufficiente nella produzione di mais con 10 milioni di tonnellate. Oggi si deve importare il 40 per cento del fabbisogno da Ucraina, Romania, America e Francia. «La politica italiana ed europea devono cambiare registro protesta Pasti -. Investire sulla ricerca, aprire agli Ogm, tutelare la produzione nazionale, rivedere la fiscalità, fare pressioni su Bruxelles. È miope basare il settore dei cereali in Italia sulle importazioni».

Inevitabile che gli agricoltori si spostino verso colture più remunerative. Qualcuno si è riconvertito al tabacco, che però richiede massicci investimenti nelle strutture di conservazione ed essiccazione. Altri hanno piantato grano duro, più redditizio del frumento tenero che è una delle colture tradizionali della Pianura padana. Si è aperta la produzione di biogas ed energie alternative, ma sono ancora nicchie.

Invece che navigare a vista, i contadini veneti hanno preferito attraccare a un porto molto più sicuro. Più di ogni altra regione hanno approfittato del nuovo regime di autorizzazione all'impianto di nuovi vigneti e hanno intasato il ministero di richieste. Secondo i dati dell'Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura), su 66mila ettari richiesti in tutta Italia oltre la metà (34.677) arrivano dal Veneto, addirittura da zone finora non particolarmente famose per le buone etichette: provincia di Rovigo, di Venezia e pianura veronese. La regione degli ex polentoni è seguita da Friuli Venezia Giulia (10.876 ettari richiesti), Sicilia (4.738) ed Emilia Romagna (4.564).

Un altro dato conferma la tendenza a sostituire la polenta con il vino: la domanda di nuovi impianti proviene soprattutto da aziende cerealicole e zootecniche. Ottantasette richieste di autorizzazioni su 100 sono state presentate da titolari di terreni a seminativo contro l'11 per cento di colture specializzate. Il recordman veneto con 7 milioni di metri quadrati richiesti è Giovanni Musini di Bagnoli di Sopra (Padova) che già possiede vigne di Prosecco e coltiva a rotazione mais, barbabietole e altre varietà per produrre biogas.

IL MIRACOLO DEL PROSECCO

«Il fenomeno si è accentuato e riguarda soprattutto la zona del Prosecco doc conferma Musini, che è anche presidente del settore Agroenergie di Confagricoltura Veneto -. È un'opportunità per i cerealicoltori che in certi anni rischiano di non rientrare degli investimenti fatti, e noi in Veneto abbiamo un prodotto, il Prosecco, la cui domanda è molto superiore alla capacità produttiva. Almeno il settore vitivinicolo è stato tutelato: dopo aver quasi cancellato prima lo zucchero, poi il latte e ora i cereali, il governante di turno è stato illuminato da qualche santo del paradiso».

Nelle sue campagne Musini ha un osservatorio privilegiato, perché produce uve ed è produttore e al tempo stesso utilizzatore di mais per energie rinnovabili. «Come consumatore dovrei dire che sono contento se cala il prezzo del mais. Il guaio è che oggi manca la materia prima italiana perché senza giusta remunerazione l'agricoltore è costretto ad abbandonare i campi. Germania e Francia hanno sostenuto la produzione nazionale garantendo una percentuale importante di autoproduzione per tutelarsi da comportamenti scorretti di produttori esteri. La Finlandia ha stabilito che almeno il 25 per cento del fabbisogno di mais dev'essere prodotto in loco, a qualsiasi prezzo, così da essere in parte svincolati dalle importazioni russe. Noi queste scelte non le abbiamo fatte. Forse a Roma non sanno che devono campare anche gli agricoltori oltre all'industria alimentare».

Secondo l'assessore all'Agricoltura del Veneto, Giuseppe Pan, la filiera vitivinicola guidata dal Prosecco vale oggi un terzo dell'economia regionale. Avanti con le bollicine dunque, il vino più venduto al mondo. I dati del Dipartimento agricoltura della regione Veneto dicono che nel 2010 sono stati raccolti 1,59 milioni di quintali di glera (il vitigno del Prosecco) balzati a 3,66 nel 2015. Raddoppio in sei vendemmie. Un mese fa la zona di produzione doc, bloccata dal 2011, è stata estesa di altri 3.000 ettari (23.250 in totale) di cui potranno beneficiare 600 nuove realtà vitivinicole - oltre alle aziende esistenti - nelle nove province previste dal disciplinare, cinque in Veneto e quattro in Friuli Venezia Giulia. Nel 2015 sono stati ottenuti 3,4 milioni di ettolitri di Prosecco contro i 945mila del 2009. Una progressione veramente sbalorditiva.

IL MIRAGGIO DEI SOLDI FACILI

Ma avanti anche con nuove denominazioni come il Pinot grigio delle Venezie: dopo due anni di trattative, lo scorso febbraio è stato avviato l'iter per riconoscerne il marchio grazie a un accordo tra Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia. Un vino fruttato, leggero, che incontra i gusti di una clientela internazionale. La doc andrà ad aggredire mercati come gli Stati Uniti, la Cina e la Russia. E darà respiro anche a nuovi produttori che non si trovano nei territori che danno origine alle etichette più pregiate.

Proprio in queste zone si incontrano perplessità. Aziende che hanno investito parecchio in qualità e diffusione ora rischiano un appiattimento. Christian Marchesini, presidente del Consorzio di tutela del Valpolicella, non nasconde il pericolo: «Ci vuole attenzione perché è facile, soprattutto per chi si reinventa viticoltore, farsi abbagliare dal miraggio del reddito. La viticoltura non può essere l'unica ancora di salvezza dell'agricoltura. Non ci si improvvisa vignaioli. E non bisogna svilire zone produttive importanti come le colline di Valdobbiadene e la Valpolicella a favore di superfici non vocate. In ogni caso ben vengano le nuove doc perché sono l'unico modo per tutelare il reddito dell'agricoltore ed evitare sofisticazioni».

Il bando della regione Veneto ha assegnato una percentuale di vigneto a chiunque possieda una superficie agricola. Ne risultano favoriti i latifondi del Rodigino e del Veneziano a scapito dei viticoltori «storici» del Trevigiano che hanno già sfruttato ogni centimetro di collina per il Prosecco docg.

«Dobbiamo evitare l'inflazione produttiva dice Marchesini -. C'è un po' di confusione tra reddito e qualità. Ma è evidente anche un dato molto positivo: il dinamismo della vitivinicoltura veneta. Un sistema virtuoso che non va stravolto».

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