Vero è che morto un Papa se ne fa un altro, ma è vero anche che l’eroe ad interim che sostituisce il martire licenzioso ha qualcosa di buffo, di grottesco e forse anche di inaccettabile. Eppure da ieri la sinistra, i vescovi, e i ragazzi di don Ciotti hanno un nuovo eroe prêt-à-porter da celebrare: Marco Tarquinio, fino ad oggi sconosciuto personaggio mediatico e oggi direttore ad interim dell’Avvenire. E allora siamo tutti Tarquinio, come ieri eravamo tutti Boffo, come l’altro ieri eravamo tutti Saviano.
Ma cosa ha scritto Marco Tarquinio? Che se il suo direttore si è dimesso è perché le «cannonate di menzogne» contro Dino Boffo sono state amplificate, con uno spazio «irrimediabilmente insultante» dall’informazione televisiva pubblica e privata, dando uno spazio dilagante a Feltri e company. «Un’autentica video-indecenza» conclude il direttore ad interim. Ma su quali televisioni sono sintonizzati all’Avvenire? Quella che trasmette sempre la solita replica: tutta la televisione è controllata da Berlusconi? Ma basta pronunciare la parola televisione ed è come evocare il sangue per un vampiro, certi pensatori si eccitano, si emozionano, si convincono. Peccato che la realtà sia un’altra. Mentre emergevano certezze, su una storia poco edificante, sul piccolo schermo quasi nessuno entrava nel merito della vicenda. Anzi, come ricorda Vittorio Feltri «da una settimana mi insultano tre volte al giorno, tra vescovi, vicevescovi e parroci».
I nemici dei miei nemici sono miei amici e dunque come per incanto tutti si sono dimenticati di quando Boffo veniva considerato un portavoce delle gerarchie ecclesiastiche, un omofobo nemico dei gay. Sarebbe una storia quasi da non prendere in considerazione se questa gloria passeggera del prode Tarquinio non fosse la ripetizione di un cliché logoro, l’anticamera di una nuova delusione.
Sin dai tempi di Indro Montanelli gli antiberlusconiani cercano nei loro ex nemici un campione che possa battere il soggetto delle loro ossessioni. L’hanno cercato prima nell’ex direttore de il Giornale, fino al paradosso degli applausi della festa dell’Unità. Osannato dagli stessi che avevano festeggiato quando fu gambizzato dalle Brigate rosse. In tempi più recenti si arrivò a invitare un’intera categoria, quella dei giornalisti, a scioperare. Per cosa? Per la cacciata di Ferruccio de Bortoli dalle direzione del Corriere della Sera. E chi era il responsabile di questo nuovo martirio mediatico e creato un eroe della libertà di stampa? Ovviamente lui, Silvio Berlusconi. E così tutti in piazza per Ferruccio, le redazioni vengono inondate da agenzie di «Articolo 21» gli stessi che oggi inneggiano a Marco Tarquinio, e poi quando Ferruccio de Bortoli ritorna al Corriere, con Berlusconi premier il teorema si sgretola e si mostra inconsistente. È molto difficile per gli antiberlusconiani separare la mitologia dalla realtà, che il Cavaliere decida ogni cosa, quando magari gli azionisti del Corriere seguono logiche che con i desideri del premier non c’entrano nulla.
E ora, dopo aver assistito alla canonizzazione di Indro Montanelli, alla cheguevarizzazione di Ferruccio de Bortoli, entra in scena un altro eroe di giornata, un altro mito usa e getta. Per questo appare appropriato l’invito del segretario generale della Cei, monsignor Mariano Crociata: «I cattolici italiani non cadano in una sindrome da assedio».
Perdonateli perché non sanno quello che fanno.
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