Morselli fa scaricabarile: "Crisi Ilva colpa dei soci"

La versione dell’ad: "Azienda ancora viva, il nodo è la liquidità". Urso: "Ora basta, si deve cambiare"

Morselli fa scaricabarile: "Crisi Ilva colpa dei soci"
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«Il solo problema dell’Ilva sono i soldi e i troppi dipendenti», «ma i soci non hanno trovato un accordo per l’acquisto degli impianti», e «senza impianti di proprietà l’azienda non è bancabile e non può nemmeno approvare il bilancio 2023 per mancata continuità aziendale». Infine, «il decreto del governo ci impedisce di risolvere la situazione con la composizione negoziata della crisi». Va in scena al Senato la “versione Morselli” sulla crisi dell’ex Ilva di Taranto. Uno scaricabarile dall’inizio alla fine dove soci, governo e conflitti mondiali sono gli unici indiziati.

Grandi assenti: manutenzione, stato degli impianti, strategia industriale e il disimpegno attuale del socio privato Arcelor Mittal (al 62% di Adi) quasi mai citato da Lucia Morselli se non per ricordare «la strepitosa offerta» fatta nel 2017 in occasione della gara per l’acquisizione del polo siderurgico. Un’audizione in Commissione Industria del Senato durante la quale la manager che gestisce come ad l’ex Ilva di Taranto attraverso la società Acciaierie d’Italia (AdI) ha anche minimizzato sul peso di un debito (3,1 miliardi) considerato «infragruppo» poichè in capo ad AdI e non a AdI Holding: «Di questi 3 miliardi solo il 18% è scaduto» ha detto l’ad. «L’azienda è viva, produce e paga regolarmente gli stipendi», ha aggiunto. E la mente torna subito a marzo: «L’obiettivo di produzione 2023 è di 4 milioni di tonnellate», disse l’ad per poi attestare la produzione a 3 milioni, aggiungendo, otto mesi dopo - a ottobre 2023 - che «l’azienda restava forte».

Rispedite al mittente anche le accuse che il socio privato abbia conseguito una strategia per depotenziare il sito tarantino: «Se avesse voluto farlo sarebbe bastato un pomeriggio. Non c’è bisogno di spendere 2 miliardi» ha detto l’ad spiegando che all’epoca della gara l’Ilva era un’azienda fallita e quindi bastava non fare nessuna offerta e attaccarla sul mercato. Una interpretazione dei fatti che bypassa completamente il cambio di rotta del socio privato avvenuto non al momento dell’acquisto, ma in occasione del secondo contratto redatto dopo lo strappo legato allo scudo penale che portò al deconsolidamento delle attività italiane di Arcelor Mittal e al cambio di ad.

L’audizione di ieri conferma la distanza siderale tra le parti tanto che il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha dichiarato come «sia chiaro a tutti che occorre cambiare rotta e equipaggio. Dato che il principale azionista, ArcelorMittal ci ha comunicato che non ha alcun intenzione di mettere risorse e investire in questa azienda». Il governo ha convocato per lunedì 19 i sindacati a Palazzo Chigi.

L’amministrazione straordinaria resta la strada finale, ma altrettanto difficile sarà convincere un altro investitore privato a entrare in partita. «È escluso anche – ha detto Urso – che lo Stato subentri in Acciaierie d’Italia al posto di Mittal».

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