Dal sindacato tedesco Ig Metall una lezione di pragmatismo al leader Cgil, Maurizio Landini.
Per la serie: da oggi sarà sciopero generale in tutti gli impianti Volkswagen contro i tagli salariali e gli annunci di chiusura di fabbriche con gli inevitabili licenziamenti. Al centro della protesta è il primo produttore di veicoli in Europa, alle prese con una severissima cura dimagrante per ridare fiato ai conti. In bilico, per ora, sono tre stabilimenti in Germania, mentre a febbraio chiuderà il sito belga di Audi preposto alla produzione del Suv elettrico Q8.
Sul tavolo, a differenza delle battaglie strumentali di Landini, ci sono problemi reali che interessano il futuro di 120mila dipendenti nei siti della marca Volkswagen. Il gruppo, nel chiedere un taglio salariale del 10% agli addetti che non saranno licenziati, ha respinto le proposte sindacali di riduzione dei costi, tra cui i bonus ai manager, per almeno 1,5 miliardi. «Tutte misure - secondo l’azienda - che porterebbero benefici solo nel breve termine». Da qui, la bocciatura».
La reazione del sindacato Ig Metall, il più grande nel Paese con oltre 2 milioni di iscritti, in rappresentanza soprattutto del settore automotive: «Se necessario, questa sarà la più dura battaglia di contrattazione collettiva che Volkswagen abbia mai visto. Una battaglia durissima». Nei suoi 87 anni di storia non è mai successo che Volkswagen, per la quale lavorano 300mila persone nel Paese, chiudesse proprie fabbriche in Germania. L’industria automobilistica tedesca, incluse Mercedes-Benz e Bmw, è in crisi (nel terzo trimestre, per loro, utile operativo dimezzato a 7,1 miliardi) a causa della deb o l e z z a dell’economia, della sempre più forte concorrenza dei locali nel mercato cinese, oltre a soffrire della mancanza di domanda, in particolare di vetture elettriche.
La crisi dell’auto, a cui si aggiunge il caso Ford di Colonia (in 3mila a casa entro il 2027), rende ancora più complesso il quadro economico tedesco in vista delle elezioni anticipate del prossimo febbraio per l’ondata di annunci tra delocalizzazioni e licenziamenti: Thyssenkrupp, Bosch, Schaeffler, Zf e Basf. E se il 2024 volge al termine all’insegna della massima incertezza e le preoccupazioni al top, il 2025 si preannuncia ancora peggiore.
Ai tanti problemi si aggiungeranno, infatti, i dazi che saranno decisi da Donald Trump e le pesantissime sanzioni anti-CO2 (il limite massimo delle emissioni medie delle vendite di veicoli nuovi passa da 116 g/km a 94 grammi/km) che scatteranno in Europa per i costruttori inadempienti. In attesa di capire se le pressioni politiche, soprattutto italiane, ma anche del comparto stesso, sulla nuova Commissione Ue porteranno a una revisione di una normativa, quella anti-CO2, che rischia di sconquassare l’industria europea automotive, S&P Global ha già calcolato fino al 17% dei profitti annuali combinati l’impatto negativo dei dazi di Trump sui costruttori europei e americani.
Volvo e Jaguar Land Rover, che producono principalmente in Europa, e gruppi come Gm e Stellantis, che assemblano grandi volumi di auto in Messico e Canada, sono - secondo S&P Global le più esposte alla minaccia di dazi maggiori.
Una tassa, sempre per S&P, che potrebbe risultare molto più dannosa per società come Volkswagen, Stellantis e i loro fornitori di qualsiasi dazio diretto sui beni dell’Ue.Negli Stati Uniti, intanto, continuano le uscite incentivate nelle fabbriche di Stellantis. La situazione resta diffcile e il provvedimento punta a un risparmio di altri 540 milioni di dollari entro la fine dell’anno.
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