La competenza regnante è foriera di accadimenti che non potrebbero albergare nemmeno nelle menti più confuse. Un direttore d'orchestra, Alberto Veronesi (foto), in segno di protesta verso la regia decide di dirigere bendato (se dissenti, o ne discuti prima o non dirigi, come è accaduto tante volte anche a direttori di certa autorità). Il suddetto direttore ha spiegato che intendeva protestare contro il ruolo ancillare del direttore d'orchestra ridotto dai registi a battitore di misura, cioè a fare esattamente quello che lui fa da decenni. Il pubblico, quello del Festival pucciniano di Torre del Lago, lo apostrofa salacemente, ma lui tira dritto e conclude una prestazione definita in vari modi, dai quali vogliamo escludere quella che fa riferimento al «pagliaccio», essendo ingiusto accostare un simile episodio a quella gente seria che sono gli artisti circensi e i pagliacci in particolare. Una voce istituzionale ha ironizzato sull'episodio grottesco e imbarazzante: era uno sfoggio di memoria. Chiunque abbia messo piede in un teatro sa che per tenere assieme uno spettacolo d'opera ci vuol altro che la memoria (fingerla non è cosa né rara, né impossibile), ma c'è bisogno del costante contatto visivo tra direttore, orchestra e palcoscenico. A maggior ragione in un'opera come La bohème dove il discorso è un continuo e difficilissimo movimento, suscettibile di imprevisti ad ogni istante. Davanti a simili accadimenti l'Opera ne esce, per usare un eufemismo, mortificata; mentre l'interessato incassa titoloni e clamore, quando invece ci vorrebbe un definitivo altolà.
Se fossero stati al mondo due musicisti della levatura e del temperamento di Giacomo Puccini e Pietro Mascagni (il celebre operista che diresse per primo La bohème a Torre del Lago) l'attore di questa demenziale sceneggiata non sarebbe stato fatto entrare in teatro nemmeno pagando il biglietto
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