New York come non l'avete mai vista. O letta. New York dall'alto in basso. Perché un giorno dei primi di agosto del '74, in cima alle Torri Gemelle, succedeva qualcosa di strano. Molto strano. E dalla strada, come dalle finestre dei grattacieli, erano tutti con il naso all'insù. A guardare quel funambolo che, a più di cento piani di altezza, camminava nel vuoto. In equilibrio. Su un cavo tirato a congiungere quelle due cime del World trade center. Mentre sotto i suoi piedi passavano scene di vita fatte di sesso. Venduto e comprato. Droga. Che annebbia la mente e causa morte. Anche a un malcapitato. Sulla strada sbagliata. Al momento sbagliato. Su un'arteria in uscita da una Mela. La Grande Mela. Storie di emarginazione. Guerra. Di un Vietnam dentro e fuori dagli uomini. E dagli animi. Dentro e fuori famiglie semplici. Sventrate da sogni infranti. Solitudine e solidarietà. Mille sfaccettature di un'esistenza che, anche quando è triste e fonte di dolore, merita di essere vissuta fino all'anima. Perché dopo l'abisso c'è spesso la ripresa. E anche nel fondo più profondo esistono ragioni per non perdersi. Per sperare. E per cogliere, anche nel buio, la luce della vita. Che ha tanto da dire anche quando si vorrebbe fuggirne. Quando restare, e crederci sembra un'illusione per sciocchi.
«Questo bacio vada al mondo intero» (Rizzoli, pp. 456, euro 21) è un libro stupendo. Fatto di storie. Di emigranti con il gusto dell'amore. Evangelico. Biblico. Della mano tesa verso i più sfortunati. Di un prete laico che tende la sua povera mano. E donne da marciapiede che quella mano la raccolgono. A modo loro. Donne che ci sono nate. Sul marciapiede. E non hanno alternative. O non le hanno mai avute. E altre, di colore, che rappresentano la salvezza per quelle che sul marciapiede hanno mosso i primi passi. Ma non lavoreranno la notte. Vendendo il loro corpo. Perché un angelo le ha soccorse.
Storie di artisti new age. Vissuti a colpi di cocktail. Di allucinogeni e stupefacenti. Di amori facili e sentimenti svenduti. Di salotti in cui signore attempate intrattengono conversazioni vuote per reagire alla perdita dei figli strappati dal Vietnam a una vita serena e catapultati nel baratro di una fine prematura. Storie di carcere e di carcerieri. E di un funambolo che cammina su tutte queste teste. Su cuori nel dramma. Quell'uomo era Philippe Petit e la sua storia è divenuta un libro, in cui ha raccontato la sua impresa. Colum Mc Cann, autore di questo romanzo, ne ricorda le gesta. E gli costruisce attorno un mondo sul quale il funambolo spicca come emblema della bellezza, a sublimare proprio questo teorema. La vita sa essere crudele. Offrire sogni e decapitarli all'alba di un giorno triste.
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