Banche all’attacco: «La truffa Parmalat non era prevedibile»

da Milano

La frode di Calisto Tanzi e soci non era conoscibile. E a farla emergere fu solo la scoperta, nel dicembre 2003, che la liquidità vantata nei bilanci di Parmalat non esisteva. È la conclusione della prima ricostruzione tecnica del caso Parmalat fatta da una delle banche sotto accusa per il crac: Bank of America. E nella sua lunga deposizione di fronte al Tribunale di Milano, Paolo Gualtieri, docente alla Cattolica di Milano (insieme a Enrico Laghi, professore a Roma, ha scritto la perizia) non ha lesinato i toni severi verso la consulente della Procura di Milano Stefania Chiaruttini: la sua relazione «contiene gravi errori metodologici e risente di una tesi precostituita».
Gualtieri ha presentato le sue ragioni proiettando una settantina tra tavole e grafici di fronte al tribunale milanese presieduto dal giudice Luisa Ponti. Nel mirino gli argomenti principali utilizzati dalla Procura per argomentare le sue accuse contro gli istituti di credito: la riconoscibilità dello stato di coma del gruppo di Collecchio attraverso un confronto con i numeri offerti da banche dati come Bloomberg e la Centrale rischi e dall’analisi di indicatori di bilancio e informazioni disponibili al mercato.
Quanto alla centrale rischi Gualtieri ha premesso che nel megaarchivio curato da Banca d’Italia che raccoglie tutti gli affidamenti bancari concessi alle aziende non sono presenti i dati di gruppo consolidati ma solo i prestiti alle singole società. Il problema, ha detto Gualtieri, è che nel caso Parmalat la frode è stata attuata truccando i dati consolidati e non quelli di questa o quella impresa. Le successive ricostruzioni da cui sono emersi i numeri del crac sono state fatte in un secondo tempo dai funzionari di via Nazionale accedendo alla Centrale dei bilanci.
Ugualmente poco significativo il possibile confronto tra l’elevata liquidità vantata da Tanzi e l’altrettanto elevato debito, confronto che avrebbe dovuto mettere in guardia le banche. Quello di mantenere liquidità per possibili operazioni straordinarie, secondo Bank of America, non può essere considerata un’anomalia. «Era quello che diceva di fare Tanzi, è quello che fa Bondi oggi», ha detto Gualtieri. E anzi, se si guarda ai numeri il cosiddetto rapporto cassa/debiti è più alto (0,76) nella Parmalat di oggi che in quella di ieri (tra 0,50 e 0,60). «Il problema è che la liquidità di allora era inventata».
Per quanto riguarda il giudizio del mercato Bank of America ha raccolto i report degli analisti su Parmalat tra il 1997 e il 2003: 168 in tutto, di cui 159 positivi (buy e hold) 9 solo negativi (sell) di cui due a dicembre 2003, quando il crac era ormai sotto gli occhi di tutti. Per allontanare il sospetto di conflitti di interesse sono stati esaminati i report di banche che non hanno mai avuto rapporti con Tanzi: su 39 solo 4 sono negativi (due di dicembre 2003). Ulteriore elemento, gli interessi pagati sulle obbligazioni: Bank of America ha condotto un’analisi sul mercato europeo e americano del periodo interessato. La conclusione di Gualtieri: per Parmalat il costo era esattamente quello corrispondente alla sua classe di merito creditizio.

Altro elemento: il costo del credit default swap, una sorta di assicurazione contro il fallimento del gruppo Parmalat, anche questo perfettamente in linea con società paragonabili a Collecchio. Dopo quella di ieri, giovedì altra puntata in cui i consulenti di Bank of America esamineranno nel dettaglio le operazioni (del 1999 e del 2002) in cui l’istituto è coinvolto.

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