Almeno quaranta i comitati ambientalisti - quelli veri - e una sigla storica, Italia Nostra, insieme per chiedere, con una conferenza stampa, una cosa precisa: «Fermiamo il sacco di Roma». Quanti siano i milioni di metri cubi complessivi sotto forma di centri commerciali, edilizia residenziale e palazzi che stanno sorgendo oltre il Gra, nessuno - a questo punto - è in grado di dirlo. Carlo Ripa di Meana, il presidente di Italia Nostra, accusa: «Questa è ormai una città senza regole dove larbitrio della peggiore speculazione fondiaria diventa legge attraverso luso spregiudicato dellaccordo di programma».
Per chi non lo sapesse, laccordo di programma è quello strumento che - una volta individuata una qualsiasi ragione di pubblica utilità e urgenza - consente di scavalcare vincoli e previsioni urbanistiche: là dove era previsto un parco si costruisce; unarea agricola si trasforma in centro commerciale; una zona dismessa, come i Mercati generali, può rigenerarsi in migliaia di metri quadrati immobiliari molto appetibili. E così via. In questi anni laccordo di programma è stato utilizzato dalla giunta capitolina uninfinità di volte; il consiglio comunale si limita a ratificare. Gli esempi non mancano. Li ha illustrati con dovizia di dettagli Paolo Berdini, dellassociazione Polis. A Tor di Quinto al posto di un fabbricato industriale è sorto quello che doveva essere un albergo da mille stanze per il Giubileo - con la licenza edilizia vincolata a questo uso - ma è stato trasformato in appartamenti da 7-8 mila euro al metro quadrato, a ridosso del Parco di Veio e a pochi metri dallattuale via Flaminia nonché dallantico basolato romano dove correva la via consolare. Alla Bufalotta, IV municipio, quello che doveva essere un progetto di riqualificazione delle periferie si è tradotto in «nuova residenzialità», ovvero case e negozi.
«Un saccheggio - denunciano gli ambientalisti - che non risparmia il centro storico. Stanno scavando la collina del Pincio, un gioiello che tutto il mondo ci invidia - continua Paolo Berdini - per costruire un parcheggio da 700 posti auto».
Insomma, il termine «sacco di Roma» conosce, purtroppo, una nuova attualità. In genere è stato usato per indicare la speculazione delledilizia intensiva degli Anni 50, quando il modello era quello rappresentato dal marchese Antonio Gerini, il «costruttore di Dio»: donava a qualche ordine generale un terreno al centro di uno dei suoi tanti possedimenti sulla Tuscolana o altrove, il Comune vi portava luce e acqua, e a quel punto larea, che non aveva più senso rimanesse agricola, diventava edificabile. Prima ancora, nel 1527, furono i lanzichenecchi a «saccheggiare», appunto, Roma. Il «sacco» della città eterna in corso ora, a detta di Italia Nostra, non avrebbe nulla da invidiare ai precedenti storici. Anzi.
pierangelo.maurizio@alice.it
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