Bella Ciao, la "Rossa" che piaceva ai compagni

Vicina ai socialisti di Nenni, votò Pci contro "l'avvento di Craxi". Le posizioni pro migranti

Bella Ciao, la "Rossa" che piaceva ai compagni

E figurarsi se taceva. Con quella voce lì, poi. La potenza interpretativa di Milva non si fermava sul palco. Andava oltre, esondava, diventava il suono teatrale della Weltanschauung, di una concezione del mondo che era chiaramente ispirata ai valori integrali della sinistra socialista. Sin dalla fine degli anni Sessanta, quando più o meno si avvicinò al mondo complesso e impegnato di Giorgio Strehler con il quale ebbe un grande «amore intellettuale», Maria Ilva Biolcati, in arte prima Sabrina e poi Milva, si è spesa per i diritti dei lavoratori, per la parità di genere e per la tutela dei deboli e degli esclusi.

Più nei fatti, ossia con le scelte artistiche, che con le parole o le dichiarazioni imbellettate che compiacciono tanto i salotti. Milva era una «pasionaria». Non usava giri di parole, salvo quando recitava o cantava. E non si è mai smentita, diventando anche in questo caso un unicum in un panorama artistico come quello italiano, così fitto di voltagabbana, di opportunismi, di non detti (ma pensati) e di democristianità vaga e conveniente.

Aveva recitato per Gino Bramieri, poi recitò Bertolt Brecht, il drammaturgo di riferimento della cultura comunista. E lo fece ad altissimi livelli, non soltanto grazie a una dizione cristallina e a una gestualità elegante ma popolana, autorevole ma non arrogante. Diventò una delle interpreti brechtiane in assoluto più apprezzate nel mondo anche grazie alla vicinanza ideologica, all'identità tra recitazione e pensiero, alla contiguità tra il suo universo culturale e quello del poeta e regista tedesco obbligato all'esilio durante il Terzo Reich.

Già quando si presentò poco più che ventenne al concorso per voci nuove (che poi vinse e la portò al Festival di Sanremo) era vestita più come un'esistenzialista alla Edith Piaf che come Nilla Pizzi. Pantaloni neri, dolcevita nero e foulard al collo, non gonna e camicetta bianche. E aveva di certo fortissima la passione, l'impegno di chi non si limita soltanto a fare la cantante. Milva era un'artista e, come tale, creava contrasti, divisioni, flussi di pareri contrastanti. Anche tra i critici, che non l'hanno sempre accolta come meritava, a conferma del fatto che la «frontalità artistica» non sempre coincide con il consenso unanime.

Mentre cresceva il suo consenso all'estero, dalla metà degli anni Ottanta, la Milva che aveva cantato Bella ciao a Canzonissima, iniziò a perdere punti di riferimento nella scena politica italiana. Venendo dalla cultura socialista, quella combattente dei Nenni e dei Pertini, era rimasta disorientata dal Psi di Bettino Craxi, arrivando a fare pubblicamente la dichiarazione che all'epoca molti altri artisti facevano, ma soltanto in privato: «L'avvento di Craxi ha portato alla distruzione del partito socialista e tutti noi che eravamo socialisti, ad esempio Strehler, abbiamo deciso di votare Pci». Un percorso coerente, forse inevitabile, ma chiaro, netto e, soprattutto, confermato fino alla fine.

In una delle sue ultime interviste aveva commentato così il malumore della sua Goro per l'arrivo dei migranti: «Se vivessi ancora nella mia Goro e potessi disporre di adeguati spazi sarei stata lieta di dare una mano, una speranza, un sollievo a chi ha dovuto abbandonare tutta la propria vita, verso un futuro incerto».

Non lo poteva fare perché era malata e perché viveva ormai da tanti anni nel centro di Milano con la sua fedelissima e riservata assistente. Con lei se ne va una delle ultime voci indomate che non parlava per avere consenso (oggi sono like), ma per il coraggio delle proprie idee. Anche quando erano indifendibili.

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