È vero che oggi sono tutti «depressi», o meglio non lo sono, ma l’uso che viene fatto del termine è molto alla moda, spesso confuso con momentanee tristezze, delusioni o insoddisfazioni. La depressione clinica, invece, è una cosa seria. È appena stato pubblicato, sulla rivista Cell, il più vasto studio con dati di 5 milioni di persone provenienti da 29 paesi del mondo. A condurlo è stato il team del Consorzio di genomica psichiatrica guidato da Andrew McIntosh, dell’Università di Edimburgo, e per farvela breve sono state scoperte ben duecentonovantré varianti genetiche legate alla depressione.
Questo permetterà di mettere a punto nuovi farmaci e terapie, che al momento vanno ancora un po’ random, ne so qualcosa io che di psichiatri ne ho girati parecchi, si va a tentativi. Non è che esistano, insomma, come per qualsiasi altra patologia, delle analisi come quelle del sangue, e una terapia in grado di agire esattamente sui livelli di determinati neurotrasmettitori una volta identificata il tipo di depressione.
La depressione è una condizione spesso sottovalutata, perché non si vede, come invece chi si è rotto una gamba, e viene confusa con la tristezza o legata a eventi particolari, a situazione specifiche, o perché, più banalmente, si confonde il cervello con il suo prodotto, la mente, e si crede che per non essere depressi basti volerlo.
Io spero che questo serva a trovare spesso nuove cure, perché essere depressi è fortemente invalidante. Come diceva il mio mito televisivo Doctor House (grande consumatore di Vicodin): «Il punto non è essere felici ma ridurre al minimo possibile l’infelicità».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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