La SIDS (Sindrome della Morte Improvvisa del Lattante) è un evento imprevedibile e consiste appunto nel decesso inaspettato di un bambino apparentemente sano che non ha ancora compiuto un anno. Si stima che la SIDS colpisca annualmente in Italia più di 250 piccoli. Nel 90% dei casi i bimbi hanno meno di sei mesi di vita, infatti il picco si verifica tra il secondo e il quarto mese. Vi è inoltre una maggiore incidenza tra i neonati di sesso maschile.
La Settimana mondiale della consapevolezza sul lutto perinatale è stata il 7 ottobre scorso e Firenze ha ospitato l'importante conferenza internazionale dedicata alla morte in culla e alla morte perinatale dell'ISPID (International Society for the study and prevention of Perinatal and Infant Death).
A fianco dei genitori nel loro percorso di conoscenza, accettazione ed elaborazione del lutto ci sono alcune realtà come l'associazione Semi per la SIDS, nata a Lucca nel 1991 per iniziativa di Pietro e Cristina Sebastiani e la Fondazione Meyer che supporta le attività di comunicazione e raccolta fondi per l'Ospedale Pediatrico Meyer del capoluogo toscano.
Le cause della morte in culla
Le cause della morte in culla rimangono purtroppo ancora oscure, tuttavia la letteratura esistente suggerisce che essa sia l'esito dell'interazione di una serie di fattori fisici e ambientali. I fattori fisici che predispongono alla SIDS sono due: la nascita prematura e le anomalie cerebrali congenite.
Il cuore e i polmoni dei bimbi che vengono alla luce prima della 37esima settimana di gravidanza non sono ancora sviluppati in maniera corretta. Tale condizione li espone al rischio di pericolose alterazioni cardiache e respiratorie. Nei bambini morti precocemente sono poi state individuate aree cerebrali non funzionanti in modo adeguato, in particolare quelle che regolano il battito cardiaco, la respirazione e il risveglio dal sonno.
Non devono essere dimenticati i fattori ambientali. Tra questi figurano il posizionamento prono durante il sonno, l'uso eccessivo delle coperte e del vestiario, la scelta di una superficie morbida per il riposo. Ancora la condivisione del letto, un ambiente sovra-riscaldato e il consumo di alcol, droghe e fumo durante la gravidanza.
Morte in culla, i consigli per ridurre il rischio
Se l'eziologia della SIDS è ancora sconosciuta, sono invece ben noti cinque comportamenti preventivi da adottare nei primi mesi di vita fino al compimento dell'anno di età:
- Scegliere la posizione supina: il materasso deve essere rigido, coperto da un lenzuolo con angoli e senza cuscino. Non vanno utilizzate altre lenzuola, coperte, trapunte, paracolpi, peluche e oggetti morbidi.
- Non fumare: il fumo, compreso lo svapo, aumenta il rischio che i bambini nascano prematuri o sottopeso;
- Fresco è meglio: non coprire troppo il neonato. La temperatura ideale per il sonno e di 18-20 gradi. Se è necessario coprilo, lo strumento più sicuro è il sacco-nanna;
- Prediligere l'allattamento al seno: il latte materno fornisce al piccolo un sistema immunitario integrato. Inoltre i bimbi allattati al seno si svegliano più facilmente dal sonno;
- Usare il succhiotto: per evitare il rischio di strangolamento, il ciuccio non deve essere mai attaccato ai vestiti, ai peluche o al collo.
Morte in culla: uno tsunami per la coppia
Studi, dati, statistiche: l'attenzione clinica alla SIDS spesso predomina sull'aspetto psicologico. Si rischia così di obliare il complesso vissuto emozionale in primis dei genitori ma anche di amici e parenti che gravitano attorno alla coppia. "Elaborare un lutto per la morte di un figlio è quanto più di difficile possa capitare, è una perdita innaturale e crudele". Sono parole forti quelle di Katiuscia De Leonibus, psicologa clinica ad indirizzo sistemico relazionale e membro dell'associazione Semi per la SIDS.
Katiuscia ha vissuto in prima persona lo tsunami della morte in culla. A dicembre del 2005 la sua piccola primogenita Alice venne a a mancare. «Eravamo così felici di essere i suoi genitori - racconta la dottoressa - nel frattempo io ero di nuovo incinta. Alice aveva 5 mesi e 3 giorni, era sempre stata bene, mai nemmeno un raffreddore. Quella sera la misi a letto come sempre dopo averle cantato la ninna nanna. Alla mattina io e mio marito ci svegliammo senza i suoi gridolini felici. Mi voltai verso l'interfono e non sentii la sua voce. Allora corsi nella cameretta e capii ogni cosa. Era tutto finito. Mia figlia non c'era più».
L'elaborazione del lutto
Il dramma della morte di Alice si è riverberato nei mesi successivi quando Katiuscia e suo marito hanno dovuto fare i conti con un'altalena di emozioni contrastanti. Da un lato, infatti, la maggiore preoccupazione era quella di riuscire ad essere dei buoni genitori per Lorenzo, il bambino che stava arrivando. Dall'altro a mordere l'anima erano i sensi di colpa e la paura che la tragedia potesse ripetersi.
Le ancore di salvezza di Katiuscia furono due: l'associazione e la psicoterapia. «Incontrare genitori che avevano affrontato un trauma simile e vederli in piedi accese in me una speranza. E poi la terapia personale. Sarò sempre grata alla mia terapeuta che con delicatezza mi accolse nella sua stanza fatta di parole. Sì, perché le parole hanno un potere curativo. La professione di psicologa è arrivata in seguito. Dopo anni di studio e di sacrifici metto oggi a disposizione le mie conoscenze per poter sostenere le famiglie che bussano alla porta dell'associazione.
La coppia e i figli
C'è un aspetto molto importante che sovente si perde di vista: i genitori e il modo in cui cambia la relazione in seguito alla perdita di un figlio. La dottoressa sottolinea che molte coppie si separano entro i cinque anni successivi. «La coppia - afferma - è formata da due individui e ognuno di loro affronta il lutto in maniera personale. Per questo è necessario spiegare che non c'è un modo giusto o sbagliato di viverlo. La madre e il padre vanno sostenuti in questo percorso al fine di evitare incomprensioni e allontanamenti».
Ancora più delicato è il rapporto con i figli presenti o futuri. «È importante che i genitori riescano ad elaborare il trauma in modo da non trasferire il dolore sui figli. Spesso, infatti, un lutto non risolto può tornare a distanza di anni sotto forma di sintomi pervasivi, ad esempio quando arriva il momento di allontanarsi dalla casa familiare. Nel caso dei figli già nati è poi importante tenere presente che essi non solo devono affrontare la morte del fratellino ma anche la "perdita" dei genitori che conoscevano».
Prospettive future
Secondo Katiuscia la morte, in particolare quella dei bambini, resta ancora un tabù. «Spesso le persone non sanno cosa dire o si limitano a minimizzare l'evento con frasi indelicate come "Siete giovani, ne farete un altro", "meno male che era piccola". Si dovrebbe, invece, preferire il silenzio e un abbraccio sincero».
La società forse non è ancora pronta ad affrontare argomenti del genere. Ed è anche per questo che i genitori non devono essere lasciati soli. «Consiglio alle madri e ai padri di rivolgersi all'associazione e di farsi aiutare da uno psicologo. Da soli non ce la si può fare e il rischio di sviluppare un lutto patologico va evitato a tutti i costi. Inoltre il sostegno è importante per affiancare la coppia nel momento della nascita di altri figli, evento questo che risveglierà le paure riguardo il sonno e la salute degli stessi».
Sono trascorsi 18 anni da quel dicembre 2005.
Oggi la famiglia di Katiuscia è composta da Lorenzo («Quando è nato i medici e le ostetriche in turno all'ospedale San Paolo di Milano sono entrati in sala parto applaudendo. Certi piccoli gesti sono preziosi»), da Edoardo, da Viola e dal ricordo della piccola Alice che ora è ovunque e per sempre.Leggi anche:
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