Cera un tempo, non lontano, in cui la sinistra per vocazione e per passione storceva il naso davanti ai prefetti, considerati lincarnazione, di là del fluire dei decenni, di unantidemocratica intuizione, centralista e vessatoria, del peggiore Napoleone. I prefetti erano rappresentanti, prima che dell«autorità politica», di unantropologia particolare che era insieme reazionaria, burocratica e questurina e a loro si faceva la colpa di essere sopravvissuti alla democrazia prefascista, al fascismo e alla Costituzione repubblicana.
Naturalmente, non abbiamo mai condiviso simili pregiudizi ed è anzi per questo che ci ha incuriosito lintervista pubblicata ieri dal manifesto allex prefetto di Milano, Bruno Ferrante, candidato sindaco dei Ds e della Margherita che, dopo le primarie, dovrebbe diventare candidato di tutta lUnione. Intendiamoci, larticolo, titolato in maniera declamatoria «Né travet, né poliziotto» non era proprio unintervista, piuttosto un duetto, o un «paso doble» tenuto conto dellarmonia e dellabilità con cui larticolista e il debuttante si sono mossi senza pestarsi i piedi. Un pezzo utile, ad ogni modo, con un «incipit» altamente educativo. Eccolo: «E mi raccomando: sulla scrivania tenete sempre un libro da leggere» . È lultima avvertenza che lex prefetto Bruno Ferrante ha lasciato ai suoi collaboratori. La prendiamo come una garanzia per il futuro. Fantastico, se si sentono garantiti quelli del manifesto perché dovremmo essere noi a seminare dubbi? La cultura è una grande cosa, Milano è salva, forse lItalia pure, la Kulturkampf comincia adesso ed è bello che muova dallandrone di una prefettura, notoriamente ricettacolo di circolari incomprensibili.
Il resto dellarticolo è in linea. Ferrante dichiara di riconoscersi nei valori e nella cultura del centrosinistra, si proclama uomo del dialogo e trova modo di criticare ruvidamente il sindaco Gabriele Albertini, più morbidamente anche Sergio Cofferati. E si capisce: delle sinistre non vorrebbe buttare nulla. E in questo contesto di dialogo e aperture viene citata la famosa visita che il dottor Ferrante fece al Leoncavallo appena nominato prefetto di Milano. Un atto che dovrebbe rientrare nei normali compiti di un prefetto, che deve rendersi conto dei problemi e deve «riconoscere il terreno», si tinge a poco a poco di una valenza simbolica, quasi il presagio di una folgorazione che verrà.
Un idillio, unapologia, unagiografia. Non ci permettiamo di dubitare della sincerità dei colleghi del manifesto, ma leggendo lintervista chissà perché ci è venuta in mente la storiella napoletana del polipo. Lanimale è nellacquario di un ristorante e ogni qual volta si avvicina un cliente deve recitare la sua sceneggiata: il cameriere lo afferra, lo sbatte, su una pietra, quindi lo morde sul capo. Il polipo non verrà cucinato, al suo posto finirà in casseruola un collega congelato, ma intanto si lamenta: «Cosa mi tocca fare per campare!».
Già, cosa tocca fare alla sinistra per gareggiare. Divisa sui progetti, timorosa di aprire realmente alla società civile, non riesce nemmeno a esprimere candidati di livello. Come ha notato Piero Borghini, ultimo sindaco socialista di Milano, la sinistra fa bassa politica quando corteggia e seduce uomini delle istituzioni, magistrati e parenti di magistrati. Cerca di coprire i suoi vuoti progettuali e dirigenziali. Anche il manifesto si arrende alle ragioni di bottega. Ed è un segno inequivocabile: la sinistra rinuncia a sedurre le masse, non tenta nemmeno di attrarre segmenti sociali, cerca di calamitare schegge individuali di un universo che non le appartiene.
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