Povera Bianca Berlinguer. Il suo destino alla guida del Tg3 è segnato da tempo: perdita di ascolti, redazione in rivolta, nessun feeling con Matteo Renzi, caduta libera dei numi tutelari dentro e fuori Rai. Game over , traguardo in vista. Lei lo sapeva bene al punto da permettersi lussi sconosciuti ad altri, come partecipare all'ultima puntata di Servizio pubblico su La7 per parlare del padre Enrico mentre Michele Santoro satireggiava sul premier in versione Dux.
Ma l'affronto più duro è la parallela ascensione della collega e rivale Monica Maggioni. Nel totonomine Rai delle scorse settimane la Berlinguer era ben piazzata come nuova consigliera di amministrazione in quota sinistra Pd, nella casella che invece è stata riempita da Rita Borioni, assistente parlamentare con qualche trascorso in RedTv, emittente del Pd dalemiano precipitata subito dopo il decollo. Nel Cda doveva entrare una direttrice di Tg: vi è approdata quella di RaiNews. La quale - a differenza di BB - si era ben guardata dal criticare l'ipotesi di riforma Rai targata Renzi che unifica le redazioni dei Tg.
Per Bianca Berlinguer sarebbe stata una buona via di fuga. Ma Renzi gliel'ha giurata. E c'è da giurarci che finiranno in nulla anche le voci che la darebbero in pista come sindaco della capitale se Ignazio Marino dovesse alzare bandiera – appunto - bianca. Tra la sbiadita ministra Marianna Madia e il vispo Giovanni Malagò, si dice che potrebbe spuntarla la figlia del più amato segretario del Pci. Un cognome ancora capace di emozionare, che evoca una «questione morale» sempre più aperta nella politica italiana (Pd compreso) e per questo è stato inserito nel pantheon dei grillini da Gian Roberto Casaleggio.
In tv Enrico vale quasi Bianca: lo scorso giugno il film di Walter Veltroni «Quando c'era Berlinguer» fece quasi 1,5 milioni di telespettatori su Rai3 con uno share del 6,2 per cento, non lontano dall'8 sul quale si è arenato il Tg3 delle 19. Ci sarebbe stato anche un contatto tra Matteo e Bianca per sondare la disponibilità. Le smentite sono fioccate. Ma più di tutto contano le frecciate che continuano ad arrivare dal Giglio magico. La più recente è del mese scorso quando Michele Anzaldi, segretario renziano della commissione di vigilanza, se l'è presa per l'entusiasmo con cui il Tg3 ha seguito il referendum greco fino a minacciare di convocare la Berlinguer «per chiedere spiegazioni su un episodio che dovrebbe essere valutato anche dall'Ordine dei giornalisti». Nientemeno.
La zarina della Rai viene da un mondo che è l'opposto della rottamazione renziana. Un carattere freddo, un cognome impegnativo, un padre nobile difficile da pensionare come un Bersani qualsiasi, una frequentazione assidua della sinistra radical-chic, un debito di riconoscenza personale e professionale con Sandro Curzi, il fondatore di TeleKabul, lontano anni luce dai modelli televisivi del presidente del Consiglio.
Ma la distanza di BB da Renzi non è soltanto una questione dinastica o temperamentale. A Rosso di sera , l'ultima puntata di Servizio pubblico trasmessa da Firenze che ha schierato le ultime groupie girotondine (Parietti, Guerritore, Ferilli, Fracci), Bianca ha magnificato i bei tempi in cui suo padre dialogava con Giorgio Almirante. Un'idea di politica agli antipodi dell'«uomo solo al comando» oggi praticata dal premier-segretario Pd.
La scelta è confermata dall'impostazione che la Berlinguer ha dato al suo telegiornale nei sei anni di direzione. Secondo le ultime rilevazioni Agcom sulla presenza dei politici in tv (giugno 2015), il Tg3 è la testata Rai che riserva a Renzi il minore «tempo antenna» (cioè il tempo in cui si parla di un politico sommato alle sue dichiarazioni in voce): appena il 18,8 per cento. Una percentuale quasi uguale a quella del Tg5 (18,4). TeleKabul come il primo telegiornale Mediaset: chi mai l'avrebbe detto?
Molto più spazio hanno concesso a Renzi il Tg1 di Mario Orfeo (21,9 per cento) e la RaiNews di Monica Maggioni con il record del 23,9. In sostanza, nel Tg guidato dalla nuova presidente della Rai si consegnava al premier un quarto del tempo destinato alla politica italiana. Anche nella ripartizione tra i partiti la Maggioni era più lealista della Berlinguer: su RaiNews il Pd sommava il 48,4 per cento contro il 41,4 del Tg3. Dove, per soprammercato, imperversavano gli esponenti della minoranza interna che Renzi non poteva sopportare.
Lo share del Tg delle 19, che nel 2010 si attestava sul 15 per cento con punte superiori al 16, ora tocca con maggiore frequenza l'8 che il 10. Indifferenza al potente di turno e bassi indici di ascolto: il terreno ideale su cui crescono le polemiche interne. BB non è mai stata tanto amata dalla sua redazione, dove ha creato una cerchia di fedelissimi che però non l'hanno messa al riparo da scivoloni come quello di trasmettere un servizio sul Papa in Bolivia già andato il giorno prima.
Una lettera di un suo redattore, pubblicata giorni fa dal Giornale , fotografa il fallimento della gestione Berlinguer: «Sei anni di questa direzione hanno prodotto la più grande fuga di colleghi nella storia del Tg3. Abbiamo perso ottime professionalità e, tra quelli che non hanno scelto la fuga, molti sono stati emarginati e umiliati». E ancora: «Alcuni miei amici, ottimi colleghi della carta stampata, ironizzano sul nostro vezzo di dare spesso le notizie del giorno prima, ma anche nei nostri corridoi si ride di questa bizzarra usanza. Forse il Cdr avrebbe dovuto già da tempo indire un referendum redazionale per cambiare nome al Tg3. Avremmo potuto chiamarlo Ripubblica.it , oppure È già ieri . Le notizie, spesso, le facciamo decantare, come il Brunello».
BB è una presenzialista che si disinteressa del resto: «Mi chiedo: se una collega si preoccupa solo della conduzione, è proprio necessario che si faccia nominare anche direttore? Purtroppo anche questa domanda, molto diffusa in redazione, arriva a tempo scaduto».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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