Roma - È fastidio e non certo irritazione quella con cui Berlusconi accoglie la nota del Quirinale che invita le Camere ad esprimersi sul rimpasto di governo formalizzato ieri con il giuramento di nove sottosegretari. Il Cavaliere, infatti, è ben consapevole che la presa di posizione di Napolitano non fa altro che «spezzare il fiato» allo sprint elettorale che si era ripromesso di fare in quest’ultima settimana prima del voto tenendo accesi i riflettori su un argomento - il rimpasto - che certo non scalda i cuori dell’elettorato. Il premier, però, è tanto sicuro dei numeri della sua maggioranza che non si scompone più di tanto davanti al comunicato del Colle, al punto dall’affidare ai quattro capigruppo del Pdl, Cicchitto, Gasparri, Corsaro e Quagliariello la replica ufficiale della maggioranza «vistata» da Letta prima di arrivare alle agenzie di stampa. Nota nella quale si dice chiaro che il governo ha già avuto «ripetute verifiche in Parlamento». Insomma, un altro passaggio alle Camere sarebbe del tutto ridondante. Al di là della presa di posizione del Pdl, però, Berlusconi non sembra avere alcuna intenzione di tirarsi indietro. Anzi. Tanto è convinto dei numeri della maggioranza e del fatto che le amministrative non vedranno il centrodestra perdente che è pronto a tornare in Parlamento e chiedere ed ottenere un altro voto di fiducia che, ragiona in privato, «non farebbe che rafforzarmi ancora».
Una verifica che arriverebbe comunque dopo il primo turno visto che la prossima settimana le Camere sono chiuse. Con il centrodestra che potrebbe aver già portato a casa Milano (dove la Moratti è in risalita) o Napoli. O magari tutte e due. E dunque con un trend per così dire positivo, visto che il capoluogo partenopeo (ora governato dal centrosinistra) rischia di essere la sfida che può sancire il successo del Cavaliere a queste amministrative di midterm. Una vittoria che avrebbe conseguenze anche sugli equilibri parlamentari e che potrebbe dare il là ad altri addii soprattutto dalle file del Fli se, come dicono molti sondaggi, il partito di Fini va verso un vero e proprio flop.
Nella maggioranza, però, la presa di posizione di Napolitano viene vissuta come un fulmine a ciel sereno. Di cui nessuno si capacita visto che dei nove sottosegretari nominati ieri solo tre sono stati eletti nelle file del centrosinistra (per gli altri sei si tratta invece di un ritorno a casa). E visto che il Quirinale non aveva sentito l’esigenza di chiedere «verifiche» dopo la ben più pesante nomina di Romano - eletto con l’Udc - a ministro dell’Agricoltura. «Perché adesso?», è la domanda che rimbalza tra Palazzo Chigi e Palazzo Grazioli. Qualcuno, insomma, teme che la mossa del Colle possa nascondere qualche insidia e magari puntare ad eventuali defezioni o fratture nel Pdl dove in questi mesi le acque sono piuttosto agitate. Più che un’ipotesi concreta, però, pare una suggestione. A meno che davvero il centrodestra non perda Milano, unica eventualità che potrebbe far esplodere le tensioni interne.
Ben più plausibile, ragiona un ministro vicino al Cavaliere, che Napolitano abbia semplicemente voluto mettere nero su bianco la sua presa di distanza da chi nell’opposizione lo accusa di aver dato il via libera a un’operazione di trasformismo. Tanto che nella nota del Quirinale si tiene a lasciare intendere che le nomine sono state decise dal presidente del Consiglio in totale autonomia.
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