Roberto Scafuri
da Roma
La politica è tornare «a impicciarsi della vita dei cittadini». È il rosso dei sentimenti, il giallo delle volontà: bandiere e post-it, lantico che si fa moderno. Lallegria della baraonda di giovani, lemozione per il vecchio guru Ingrao, la sorpresa per Sandra Milo che in prima fila fa dichiarazioni di voto: «Mi piace Bertinotti, lo voto, lo amo, amo la sua moralità, la sua umanità, Bertinotti è quello che tutti vorremmo che i politici fossero...». Politica è anche la coerenza del leader, che non corre a pentirsi come Prodi ma denuncia le «ingerenze neointegraliste come quelle che hanno visto impegnato il cardinale Ruini». Il laico Bertinotti, affascinato dai grandi tomi su San Paolo di Tarso, conserva la logica aspra e stringente: «Se anche i cardinali si mettono a fare politica è evidente che si espongono ai rischi della politica, fischi e contestazioni. Certo, sarei inquieto se le contestazioni fossero avvenute in una chiesa...».
La festa di Liberazione si chiude al Palalottomatica e si trasforma in una grande kermesse per il candidato delle primarie Bertinotti e per i settemila che sinfiammano. Con Fausto e con il concerto di Max Gazzè, con la Banda Bardot e la Musicale Balcanica. Si becca lapplauso persino il tedesco Bisky, venuto a confermare che Bertinotti sarà lindiscusso presidente della Sinistra europea anche dopo il primo congresso, in programma ad Atene a fine ottobre. Sul palco ci sono anche i ragazzi di Siena che laltroieri hanno contestato il cardinale Ruini. Entrati al Palalottomatica dietro il loro striscione, gridando a squarciagola: «Meglio Peppone che don Camillo!». E daltronde il quotidiano Liberazione ieri in prima pagina aveva il provocatorio fotomontaggio di Benedetto XVI e layatollah Khomeini, accomunati nel titolo: «Coppia di fatto».
Il portavoce degli anti-Ruini finisce per diventare lattrazione supplementare della festa, ricevuto in sala stampa per raccontare il suo «the day after». Alessandro Francesconi, ventanni, e il suo «Io voglio» affidato al post-it è scontato: «Libero amore in libero Stato». Si è «dispiaciuto» perché «forse cè stata una percezione sbagliata delliniziativa pacifica e non violenta, tanto che Ruini ha potuto subito riprendere la parola». Ingenuo come un ventenne, per fortuna: «Più che difendere Ruini che non ne ha bisogno, mi sarei aspettato una difesa delle nostre posizioni che sono quelle di tanti cittadini, tanto che stanotte alle 3 sono stato svegliato da persone che mi testimoniavano solidarietà...».
La differenza vera tra i candidati delle primarie dellUnione, oggi, passa di qui. Dalle scuse vecchie di un giorno di Prodi e Fassino allorgoglio laico dei rifondatori. Il resto è politica unitaria, perché come spiegato in lungo e in largo Rifondazione fa parte della coalizione a pieno titolo, senza la necessità di volersi distinguere a tutti i costi, avendo spostato la dialettica dallo scontro alla proposta, alla «lotta per legemonia». E se la «mobilitazione per cacciare Berlusconi e chiedere nuove elezioni» o il «no alla proporzionale» non si differenzia poi tanto dagli slogan dei Rutelli e dei Mastella, sta nella «connessione sentimentale» con i cittadini la «diversità» bertinottiana, che non esita a richiamarsi al concetto gramsciano. Il leader chiede una «politica guardata con gli occhi della quotidianità, della realtà dei cittadini», piuttosto che filtrata dagli alambicchi spesso incomprensibili dei funzionari di partito. E vuole «mettere la politica al riparo dalla questione morale» attraverso un «tetto delle retribuzioni del pubblico impiego, un tetto che poi nessun ministro, nessun presidente della Rai, nessun avvocato dello Stato possano poi sfiorare».
Si propone al governo, Fausto, non certo come vice di Prodi, visto che «la maglia iridata è di uno solo e non si divide». Rovescia ottimisticamente la formula nenniana del «governo stanza dei bottoni», per dire che «movimento e lotta aiutano un governo riformatore a scegliere la strada del cambiamento». Ma soprattutto Bertinotti non vuole che il programma dellUnione diventi «un elenco telefonico» o quello dei «buoni obbiettivi».
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