Non bisogna costruire un "uomo nuovo" ma un uomo libero

Quando parliamo di Milton Friedman, parliamo infatti del principe del liberismo del secondo '900, del padre di quello che in maniera sprezzante, dai vari sinistri, viene chiamato neoliberismo

Non bisogna costruire un "uomo nuovo" ma un uomo libero
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Chissà che cosa avrebbe detto il grandissimo Milton Friedman della pioggia di dazi imposta, o minacciata, da Donald Trump? Penso sia facile immaginare che sebbene avrebbe potuto essere, anticonformista come era, un suo elettore, non sarebbe stato in alcun modo in accordo con questi provvedimenti.

Quando parliamo di Milton Friedman, parliamo infatti del principe del liberismo del secondo '900, del padre di quello che in maniera sprezzante, dai vari sinistri, viene chiamato neoliberismo: che non sarebbe altro che quell'ondata di idee e provvedimenti economico-politici che, dalla fine degli anni '70, prima nella Gran Bretagna di Margareth Thatcher e poi nell'America di Reagan, e via via in buona parte del mondo sviluppato e in via di sviluppo, ha dato nuova linfa allo sviluppo e alla globalizzazione.

Il pensiero di questo genio economico, premiato con il Nobel nel 1976, viene ora riportato all'attenzione del grande pubblico dall'edizione italiana di uno dei suoi capolavori divulgativi: Non esistono pasti gratis (Liberilibri). Il titolo, folgorante, è già tutto un programma. Come scrive bene il giornalista che intervista Friedman in uno dei testi più belli di questa raccolta, la sua leggendaria intervista a Playboy, forse la migliore e più chiara introduzione al suo pensiero: «L'unico principio intorno al quale ruotano tutte le proposte di Friedman è la sua profonda e salda fede nel libero mercato. A suo avviso, il libero mercato è il migliore strumento mai concepito per regolare gli affari umani, e lo vede ovunque minacciato dallo Stato sociale».

L'idea che non esistono pasti gratis si può riassumere nel fatto che le risorse a disposizione sono limitate e che vanno allocate nel modo più efficiente. Ma questo significa, allocate nel modo più opportuno per aumentare la ricchezza e quindi le risorse disponibili e favorire così lo sviluppo. E per svolgere questo compito non esiste intelligenza migliore di quella del libero mercato. Lo scritto di Friedman conserva una straordinaria attualità e ci parla dei problemi di oggi che lui aveva già intuito molti anni fa: dall'inflazione all'espansione della spesa pubblica, dalla progressività delle imposte al catastrofico sistema pensionistico, dall'imposta di successione al salario minimo, fino alla contrarietà assoluta alla versione dell'epoca del reddito di cittadinanza (disastroso tanto per lo Stato che lo eroga quanto per chi lo riceve, e da sostituire con l'idea geniale dell'imposta negativa sul reddito da scoprire leggendo).

Ma la grandezza di Friedman, prima che nelle sue idee economiche, sta nella sua idea antropologica.

Il suo perfetto realismo gli fa riconoscere l'imperfezione dell'uomo ed egli non vuole correggere il «legno storto dell'umanità», come pretendono i socialisti di ogni epoca, ma solo mettere tutti gli individui nella condizione di migliorare la propria esistenza sfruttando positivamente, e a vantaggio di tutti, ovviamente le proprie virtù ma anche i propri «vizi».

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