Fra le volte mosaicate e le cupole dorate della Basilica di San Marco si è conclusa la Biennale Musica di Venezia. Un ritorno al futuro, essendosi rispettata l'antica caratteristica del Festival di guardare avanti in dialogo con il passato. Tutta la rassegna ideata dalla direttrice Lucia Ronchetti non ha perso di vista la fertilità di ibridare la creatività contemporanea con la lezione del passato. Anche perché alcune frange della un tempo cosiddetta nuova avanguardia possono produrre «musica assoluta» (tema del festival) dagli esiti interrogativi: l'inaridimento fonico a embrioni filiformi o la rabbiosa reiterazione di stilemi-quasi-automatismi come nelle prime assolute di due insigni esponenti della contemporaneità italiana (Salvatore Sciarrino e Luca Francesconi). La Cappella Marciana, diretta da Marco Gemmani, ha presentato sul meraviglioso testo dello Stabat Mater la gloriosa intonazione del sommo Palestrina, quella meno nota di Giovanni Croce, Maestro di Cappella marciano nell'autunno della polifonia tardo rinascimentale, precedute dalla versione del 2017 della compositrice Lisa Streich.
A prescindere dai risultati, la scrittura per coro a cappella è uno dei settori più ricchi della musica contemporanea - basterebbero le opere esemplari di Arvo Pärt e Alfred Schnittke. La via segnata dalla Biennale, quella di guardare avanti «con lo sguardo lieto» era la divisa di Ferruccio Busoni, che della dialettica presente/passato fece la poetica della sua opera di interprete e compositore.
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