Blair ai nastri di partenza Ora vuol diventare primo presidente d’Europa

Ad accoglierlo questa sera, al Gibson Amphitheatre, vicino a Los Angeles, ci saranno almeno 5.000 persone. L’organizzazione è della American Jewish University e per ascoltare il suo discorso i partecipanti hanno pagato tra i 1.000 e i 2.500 dollari. Chi ha versato di più avrà diritto a prendere un cocktail e a essere fotografato con lui. Domani, invece, Tony Blair parlerà in un grande albergo vicino a Palm Springs, sempre in California. Questa volta i biglietti per la serata sono quasi a buon mercato: circa 750 dollari. Giovedì infine sarà la volta di Toronto in Canada: qui lo sponsor è un banca e le previsioni parlano di circa 2000 ascoltatori.
In quattro giorni di tournée nord americana l’ex premier britannico incasserà una cifra intorno agli 800mila euro. Una somma di tutto rispetto anche per la nuova stella nel circuito degli oratori internazionali, in grado di tenere testa, quanto a richieste e compensi, al vero asso del settore, Bill Clinton. Una volta date le dimissioni da primo ministro Blair si è messo a lavorare con lo stesso impegno con cui ha retto per anni le sorti della gran Bretagna: ogni mese si è imposto una media di cinque discorsi pubblici. E ogni volta incassa una somma che è tra i 200 e i 300mila euro. In pratica ogni mese porta a casa almeno un milione. Le sue entrate non finiscono qui. Da una casa editrice internazionale ha ricevuto un anticipo di 6,5 milioni di euro per la pubblicazione delle sue memorie e ha appena firmato un contratto di collaborazione con banca d’affari Jp Morgan (valore 715mila euro all’anno). Di fronte a queste cifre fa quasi sorridere la pensione da premier britannico, in tutto appena 90mila euro annui.
L’obiettivo di Blair è quello di ripagare al più presto i debiti che pesano sul suo bilancio familiare: poco più di 700mila euro per un investimento fatto a Cardiff in Galles (un paio di appartamenti) e soprattutto i 5 milioni di mutuo per l’acquisto della vita: una palazzina in stile georgiano in Connaught Square, appena a nord di Hyde Park, nel centro di Londra, che fa da abitazione alla famiglia, e da ufficio a lui e alla moglie.
Se procederà di questo passo Blair non dovrà temere difficoltà finanziarie di sorta. Anche perché ad alzare il suo valore commerciale è il fatto che l’ex premier non è affatto un ex politico. E anche in questo campo ha un’idea ben chiara in testa: quella di diventare il primo presidente d’Europa quando il nuovo trattato europeo, firmato a Lisbona in dicembre, entrerà in vigore nel 2009. Per il momento Tony si accontenta del ruolo più defilato di inviato di Ue e Onu in Israele e Palestina. L’incarico (svolto in questo caso del tutto gratuitamente) gli permette di affiancare il presidente della Commissione di Bruxelles José Manuel Barroso e il ministro degli Esteri Ue Javier Solana. Ma soprattutto di impratichirsi delle regole, scritte e non scritte, della burocrazia europea.
L’altro ieri però Blair ha fatto un passo avanti ed è andato al congresso dell’Ump francese, il movimento neogollista guidato da Nicolas Sarkozy. Nel suo intervento si è complimentato per l’energia del fidanzato di Carla Bruni e ha irritato i socialisti locali dicendo che se fosse del posto si batterebbe per la riforma del partito. In un ottimo francese ha poi sottolineato che le distinzioni tra destra e sinistra non hanno più significato: «L’Europa non è una questione di destra o sinistra, ma di futuro o passato, di forza o debolezza». In pratica, secondo l’unanime interpretazione, ha aperto ufficialmente la sua campagna elettorale per il posto di numero uno del Consiglio europeo, che dal gennaio prossimo non sarà più a rotazione semestrale ma riceverà un mandato pluriennale. Sarkozy gli aveva già offerto il suo appoggio e sabato lo ha ribadito: «Tony è intelligente, è coraggioso ed è un amico. Abbiamo bisogno di lui in Europa».
L’appoggio di Sarkozy per i progetti di Blair è decisivo. A Bruxelles tutti i giochi decisivi si faranno nella seconda metà del 2008. Guarda caso proprio nel semestre della presidenza francese, che il primo luglio assumerà la guida dei lavori europei ricevendo il testimone dalla fragile e inesperta Slovenia. A reggere i fili dei negoziati sarà dunque il principale sostenitore dell’ex premier britannico.
Il vantaggio non è da poco. Ma non è detto che basti. In base alle indiscrezioni sui primi posizionamenti ci sono almeno due Paesi che non sembrano affatto disposti a dare il loro via libera a Blair: Italia e Germania. Le ragioni sarebbero in parte comuni ai due Paesi. La principale è l’europeismo, considerato molto moderato, se non del tutto assente, dell’ex primo ministro, di cui si conosce piuttosto il trasporto verso gli Stati Uniti.

In più si sottolinea la sua scarsa conoscenza ed esperienza dei meccanismi europei (proprio quella che Blair cerca di recuperare in Medio Oriente). Così resta in lizza anche il premier lussemburghese Jean Claude Juncker. Che, secondo qualcuno, è anzi il favorito. Per Blair, insomma, la campagna elettorale si annuncia impegnativa.

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