Nel 1970, scrivendo I vedovi, probabilmente si ricordarono di un loro ormai vecchio libro quando lasciarono cadere dalla bocca di un personaggio questa frase, detta a nuora perché suocera intendesse: «Nel romanzo conosci le persone senza vederle, nel film le vedi senza conoscerle». La nuora era, come sempre, il lettore, e la suocera era il mondo del cinema che già in due occasioni (peraltro con grande successo, e a firma di Henri-Georges Clouzot e di Alfred Hitchcock) si era preso molte libertà, nell'uso delle loro creazioni per illuminare di noir il grande schermo. Il vecchio libro, datato 1953, è Les visages de l'ombre, tradotto In fondo al pozzo per conto del Corriere della sera (collana «Il romanzo per tutti») nel 55 e ora riproposto da Adelphi con il letterale I volti dell'ombra (pagg. 180, euro 18, traduzione di Federica Di Lella e di Maria Laura Vanorio). E loro erano Boileau e Narcejac, coppia d'assi che vale doppio: un poker servito al tavolo del brivido.
Quel verbo, vedere, che innerva la frase citata, cade a pennello (e a contrario) sul protagonista, Richard Hermantier. A lui, industriale nel ramo delle lampadine, il Caso ha riservato una sorte tanto crudele quanto cinica: il poveretto ha infatti perso la vista a causa dell'esplosione di un ordigno di guerra nel giardino della sua casa delle vacanze in Vandea. Uso a comandar tacendo, ovvero a dettar legge fra i suoi dipendenti con una semplice alzata di ciglio, ora Hermantier, dimesso dall'ospedale dopo lunga degenza, è come un neonato in tutto e per tutto dipendente dalla madre-moglie Christiane, dalla tata-cameriera Marceline e dal maggiordomo-socio di minoranza Hubert. Ci sarebbe da respingere il contrattacco del cartello della concorrenza, resa più aggressiva del solito dopo che il Nostro ha messo le mani su un brevetto in grado di sbaragliarla, e ci sarebbe da organizzare una campagna pubblicitaria in grande stile per promuovere l'innovativo prodotto. Ma il chirurgo, il professor Lauthier, è stato categorico: riposo, riposo e ancora riposo.
Morale: impacchettato in auto e portato via dalla sua Lione per un periodo di convalescenza, Hermantier non ha più occhi né per vedere e né per piangere, ed è in bilico fra pensieri di morte e propositi di rivalsa contro una sorte avversa. «Tutto sommato - pensa -, con una memoria ben allenata, si potrebbe fare tranquillamente a meno della vista. Il problema è che ricordiamo male». Siamo in luglio, la noia e la tristezza regnano sovrane, mentre il caldo inaridisce il giardino, dove Richard accumula migliaia di passi perduti, e anche i sentimenti dei normali nei confronti del diverso. Soltanto la visita del fratello minore, lo scapestrato Maxime, fa riassaporare per qualche minuto a Hermantier il gusto della vita vera.
Immedesimarsi nella paura e nella rabbia del protagonista è, per il lettore che si ritrova ostaggio del cieco e insieme onnisciente rigore degli autori, un'esperienza immersiva, quasi da realtà virtuale, ma non aumentata, bensì diminuita. Finché l'angosciante tran tran quotidiano viene rotto da una notizia (o presunta tale) che getta un ulteriore, e decisivo, telo grigio, anzi funereo, sulla narrazione. Dopo una serie di indizi, Hermantier trova (e dove, se non nel piccolo cimitero del borgo marinaro?) quella che considera la prova inconfutabile a supporto dei suoi peggiori sospetti.
Seguitelo istante per istante, abbandonandovi al demone della suspense, e sarete ripagati da un finale che, letteralmente, vi aprirà gli occhi rimasti fino ad allora sigillati come una lettera che contiene un'agghiacciante verità.
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