Anni e anni di militanza, decenni di vita comunitaria - per non dire comunista -, sodalizio umano e giornalistico che ha sfidato il Pci trinariciuto (che difatti li epurò). Poi ecco arrivare Gheddafi, la crisi libica, i bombardamenti sul proprio popolo e tutto finisce. Mostra le crepe anche l'ultimo degli avamposti dell'amicizia ideologica, il manifesto, e finisce in rissa tra co-fondatori: Valentino Parlato versus Rossana Rossanda.
Se vogliamo, in ballo c'è anche la capacità di revisionare la storia (soprattutto la propria). Uno resta coerente fino alla fine, Parlato, e rischia l'impopolarità. L'altra, la Rossanda, fa i conti con la realtà e l'insostenibile pesantezza dell'essere (ciechi e ideologici). Il solco s'approfondisce: il manifesto, quotidiano che ancora orgogliosamente si dichiara «comunista» fin dalla testata, non è libero per niente. La Rossanda non ne può più della linea oscuramente filo-Gheddafi espressa dal quotidiano e ottiene - almeno - uno spazio in prima pagina per manifestare il disappunto.
«Al manifesto - scrive la cofondatrice -non riesce di dire che la Libia di Gheddafi non è né una democrazia né uno stato progressista, e che il tentativo di rivolta in corso si oppone a un clan familiare del quale si augura la caduta. Non penso tanto al nostro corrispondente...». No, non pensava per niente al corrispondente, la Rossanda, quando scriveva dal suo appartamento parigino. Ma proprio a Valentino, al «suo» Valentino, idealmente rinchiuso nel bunker di una difesa occhiuta nei confronti del raìs. Come si dice in gergo scurrile ma autenticamente giornalistico, ha pestato una di quelle cose che non odorano di rose.
Complice un'intervista concessa dall'ex direttore - e nume tutelare - del manifesto al «Sole 24 ore», ed ecco venir fuori quella linea un po' troppo prudente, un po' davvero giustificazionista che ha caratterizzato il quotidiano durante la rivolta libica. Parlato non ha esitato a rivendicare i meriti (meriti?) del dittatore libico. Apriti cielo. Una lettrice infuriata, sotto il cui nome pare si nascondesse la parte della redazione più incavolata, tal «Mariletta» s'è indignata e ha minacciato - orrore! - di non rinnovare l'abbomento al giornale (da sempre, il più affamato di abbonati d'Italia). Parlato s'è costretto a giustificare il giustificazionismo: «Cara Mariletta, ti ho fatto proprio arrabbiare. Cerco di spiegarmi con te e con i lettori egualmente arrabbiati. Ma ti prego di non rompere con il nostro giornale: tra compagni si può anche essere di parere diverso...».
Le argomentazioni, però, risultavano alquanto sterili: «Conservo un giudizio positivo su Gheddafi, benché nell'ultimo decennio sia molto decaduto e oggi definitivamente sconfitto, direi più da se stesso che dai rivoltosi. Sconfitto anche se durerà ancora qualche tempo. Muammar Gheddafi con l'incruento colpo di stato del settembre del 1969 ha tolto di mezzo quel fantoccio di re Idriss, antisemita e servo degli inglesi. Liquidato Idriss Gheddafi ha dato vita alla Giamahiria araba, libica, popolare e socialista, di matrice roussoiana, che doveva fondarsi sulla democrazia diretta dei consigli del popolo. Era, e non solo in Africa, uno straordinario tentativo di innovazione, che andava apprezzato e sostenuto (ricordati degli elogi da parte di Nelson Mandela). Dalla Giamahiria e dalla lettura del Libro Verde (da leggere e rileggere) il mio convinto apprezzamento del primo Gheddafi e anche la sorpresa per l'attuale rivolta popolare. Il valore del suo tentativo non lo cancello. Certo è però che nell'ultimo decennio il personaggio è invecchiato e si è fatto travolgere da un'assurda vanità, evidente nel suo ultimo viaggio a Roma a ricevere i baci di Berlusconi. Avere per scorta le soldatesse era tutto il contrario del berlusconismo, bensì - in un mondo musulmano - un segno di emancipazione delle donne. E poi, cara Mariletta, non dimenticare che l'America di Bush tentò varie volte di ucciderlo, anche con un bombardamento aereo, che provocò la morte di una sua figlia adottiva. Da quel lontano settembre 1969 sono passati più di quarant'anni, l'uomo non ha retto alle intemperie della storia e anche al crollo del muro di Berlino e al tramonto delle speranze socialiste. Oggi appare definitivamente sconfitto, ma escludo che fuggirà in Venezuela, come alcuni avevano annunciato. Finirà ucciso o suicida: leggiti il suo racconto "Fuga all'inferno" pubblicato dalla manifestolibri. Detto tutto questo - e spero di non farti vieppiù arrabbiare - aggiungo che non mi pare onesto condannare gli sconfitti, anche se ne sono responsabili. Certo quello che si sta aprendo in Africa e in tutto il mondo arabo è di difficile lettura: globalizzazione, vuoto di poteri forti, ma anche forte tensione, che può essere positiva. In ogni modo, cara Mariletta, rinnova l'abbonamento».
Al di là della stringente preoccupazione per l'abbonamento, la tesi di Parlato appare ricca di suggestioni ma quantomai lontana dalla realtà. Socialista uno che ha messo da parte una settantina di miliardi di dollari, che ha fatto del proprio clan un'élite d'impuniti approfittatori del petrolio libico, che non ha esitato di bombardare e mitragliare il proprio popolo? Anche per la Rossanda il troppo e troppo. E il suo rovello è gentile nelle parole ma ruvido nella sostanza: «Perché tanta cautela per un giornale che non ha esitato a sposare, fino a oggi, anche le cause più minoritarie, ma degne? Non è degno che la gente si rivolti contro un potere che da quarant'anni, per avere nel 1969 abbattuto una monarchia fantoccio, le nega ogni forma di preoccupazione e controllo? Non sono finite le illusioni progressiste che molti di noi, io inclusa, abbiamo nutrito negli anni Sessanta e Settanta? Non è evidente che sono degenerate in poteri autoritari?...».
Evidentemente no, per Parlato e per la direzione del giornale. La Rossanda non si dà pace e racconta: «Ho proposto queste domande sul manifesto del 24 febbraio, senza ottenere risposta. Non è una risposta la nostalgia di alcuni di noi...». La co-fondatrice chiede che la voce del quotidiano si levi chiara e forte.
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