Bonelli (e Sclavi) sarà contento: il suo Dylan Dog diventa paladino della Chiesa

Sul mensile «Jesus» Brunetto Salvarani, teologo laico e critico letterario, celebra i venticinque anni dell'indagatore dell'incubo santificandolo: «Il suo successo è parlare del tabù della morte. Ed è un antidoto contro ogni razzismo»

«A ben vedere, la chiave del suo successo è proprio la scelta di mettere in scena, fra mostri, zombie e fate morgane, l'autentico tabù della nostra società, l'ultimo rimastoci, la morte: la sua auto, per dire, è un vecchio maggiolone decappottabile targato DYD 666, cifra della Bestia anticristiana nel linguaggio simbolico dell'Apocalisse».

È una lettura trasversale di Dylan Dog, tra i più noti personaggi a fumetti della scuderia di Sergio Bonelli Editore, quella che il mensile Jesus pubblica nel numero di ottobre. A raccontarla Brunetto Salvarani, teologo laico e critico letterario, che celebra i venticinque anni del personaggio nato dalla fantasia di Tiziano Sclavi offrendo un approfondimento storico-letterario di ampio respiro. Per spiegarne il valore e la ragione di un successo editoriale senza soluzione di continuità. Partendo, dunque, dalla dichiarazione di Umberto Eco «Posso leggere la Bibbia, Omero e Dylan Dog per giorni e giorni senza annoiarmi», Salvarani analizza le tematiche che emergono da un excursus sugli albi più significativi dal 1986 a oggi.

Oltre a quello sulla morte, di cui la costellazione di zombie rappresenta un topos strutturale, il teologo rivela elementi di psicologia sociale: «il fumetto di Sclavi, nell'aiutare i ragazzi a morire simbolicamente, contribuisce a un'impresa che la società degli adulti riesce sempre meno realizzare: ne favorisce la crescita, il diventare a loro volta adulti». E ancora: «la consuetudine al confronto con l'altro cui ci ha abituati la fantasia di Sclavi finisce per essere un prezioso antidoto contro qualsiasi tentazione razzista o chiusura xenofoba. L'altro, il mostro, il freak, l'emarginato, il capro espiatorio di turno, è il migliore dei maestri possibili, perchè ci mette in discussione in modo radicale, facendoci toccare con mano i nostri limiti e la nostra finitezza».

Senza escludere caratteristiche puramente stilistico-narrative «è frequente la sovrapposizione tra la fabula e l'intreccio, l'uso del taglio cinematografico, del flashback e dell'anticipazione di eventi futuri e/o possibili, in una sorta di straniamento continuo dovuto a un sapiente melange di cultura classica e pop, di contaminazioni fra elementi horror, realistici e ironici», comunque funzionali ad una poetica che ragiona sull'uomo e sulla visione della vita: «Perchè il problema più drammatico che ci

riguarda è che ben di rado riusciamo a convertire i nostri sguardi sul mondo, irrimediabilmente annegati come siamo in un grigiore piccino incapace di aprirsi al sogno, all'inedito, ai miracoli sottesi nel quotidiano...».

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