Bush avverte Teheran e i palestinesi: «Dovete riconoscere lo Stato d’Israele»

Al popolo iraniano: «Rispetto il vostro Paese, non i vostri leader che vi negano la libertà. Il terrore è il vero ostacolo al progresso»

Alberto Pasolini Zanelli

da Washington

Nessuno si attendeva che Bush dicesse cose realmente nuove nel suo intervento nella sessione celebrativa dell’Onu. E le sue parole hanno confermato le previsioni: un tono in apparenza più conciliante, in carattere con il tipo di ascoltatori, ma una fermezza nella sostanza. Due temi salienti, l’Iran e la espansione della democrazia. Nei confronti di Teheran Bush ha usato le parole meno aspre da quando è maturata la crisi dei progetti nucleari. Il presidente Usa si è dilungato in attestazioni di rispetto per il popolo e per la nazione iraniana: «Gli Stati Uniti vi rispettano. Rispettano il vostro Paese. Ammirano la vostra ricca storia. Noi sappiamo che voi iraniani meritate di cogliere un’occasione per determinare il vostro futuro». Ma c’è un ma, un grosso ma: il vero ostacolo al progresso del vostro Paese sono i vostri leader che vi negano la libertà e coltivano ambizioni nucleari che noi non potremo accettare». Il contesto conferma l’intenzione della Casa Bianca di stringere i tempi nei limiti del possibile e di dare all’imminente sessione delle Nazioni Unite l’impronta di una scelta e di una iniziativa proprio sulla «atomica degli ayatollah». Bush potrebbe sentirsi incoraggiato dal colloquio a quattr’occhi che ha avuto subito prima di pronunciare il discorso con il presidente francese Jacques Chirac. In privato l’uomo dell’Eliseo non avrebbe «formulato richieste incompatibili con la posizione americana». E Chirac lo ha cautamente confermato precisando che rimane valida anche per la Francia la condizione della sospensione degli esperimenti nucleari prima dell’avvio di un negoziato vero e proprio. C’è una apparente contraddizione con le sue dichiarazioni di poche ore prima a un pubblico radiofonico europeo, in cui la precondizione veniva lasciata cadere e anzi si manifestava l’opposizione francese alle sanzioni: «Siamo sempre contrari, perché non sono mai servite a niente. Niente può sostituire il dialogo». Fra il discorso pubblico e le assicurazioni private ci deve essere una linea, magari sottile, che ricostituisce l’unanimità nel gruppo dei Cinque più uno e tranquillizza Bush.
Almeno su questo tema concreto. Il resto della sua allocuzione all’Onu è stato un richiamo al suo grande progetto di espansione della democrazia nel Medio Oriente. «Il mondo - ha detto Bush - è impegnato in una guerra ideologica: contro dei nemici dell’umanità che conducono una campagna di terrore»; in cui Bush ha voluto includere anche il conflitto nel Libano e la questione palestinese. Egli si è rivolto direttamente ad Hamas, che ha invitato ad «abbandonare il terrore e riconoscere Israele». Il terrore, ha ribadito, che è il principale ostacolo a ogni progetto di progresso nel mondo e che va combattuto fino in fondo se si vuol poi finalmente cominciare a «parlare del mondo di domani».
Auspici forti, tono più pacato: mai Bush era apparso così fiducioso nelle ultime settimane. Uno dei motivi, forse il prevalente, può essere il ritorno di fiducia degli americani nell’inquilino della Casa Bianca che negli ultimi due anni era sceso ai minimi storici della popolarità.

L’ultimo sondaggio conferma e accelera la sua ripresa: l’indice di approvazione è al 44 per cento, la sua conduzione nella «guerra al terrore» è approvata da una maggioranza (fermo restando il giudizio negativo sulla guerra in Irak) e le intenzioni di voto per il rinnovo del Congresso il 2 novembre riportano i repubblicani in parità con i democratici: il 48 per cento a testa dei «probabili elettori».

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