da Roma
A volte basta poco. Anzi, pochissimo. E George Bush lo sa perfettamente. Sceso in perfetto orario dall’auto nera che lo aveva portato dal Vaticano a palazzo Chigi, ha steso la mano verso Prodi e poi, avvicinandosi, gli ha cinto le spalle con un inatteso ma gradito abbraccio. Questa, oltre che la foto più significativa, l’essenza della visita del presidente Usa. Pronto a salutare con calore il premier di un governo che, oltre Atlantico lo si sa bene, non ama particolarmente gli Stati Uniti e la loro politica internazionale.
Ma Bush, checché se ne pensi, sa bene che la diplomazia vuole certi gesti. Anzi, li reclama. Soprattutto se si vuole interrompere il corto circuito delle accuse e delle lagnanze reciproche. L’Italia preme per un maggior dialogo per soddisfare le bramosie anti-americane della sinistra interna? Diamoglielo. Anzi, abbracciamo pubblicamente Prodi. Del resto più che contrasti autentici (tranne nel caso degli agenti Cia di cui la magistratura italiana reclama l’estradizione) il resto sono spine temporanee. L’Afghanistan? Nessun cenno al richiamo Usa a combattere, nel faccia a faccia di palazzo Chigi, perché gli sherpa di Washington hanno già avvertito il presidente che Roma sui caveat non è disponibile a sconti. L’Iran? Se ne parla, trovando piena intesa sul punto che Teheran può sfruttare l’atomo ma solo per usi civili e sotto controllo. Il Libano? «Ringraziamo l’Italia che lo scorso anno al G8, quando il conflitto pareva inarrestabile, si disse pronta a guidare una missione internazionale», osserva Bush. Non mancando però di ricordare - con sguardo significativo rivolto a Prodi - che tanto gli Usa che l’Italia sono d’accordo sul fatto «che la Siria non deve destabilizzare il governo Siniora e che il processo per l’assassinio di Hariri va fatto». Anche per il Kosovo, piena intesa o quasi. Sì al dialogo con Russia e Serbia, dice il presidente Usa, ma a condizione che ci sia un termine che porti all’indipendenza.
E allora, tutto bene. Tanto nell’emerso - in rapida conferenza stampa finale - che in quello rimasto segreto nella mezz’ora che ha preceduto il pranzo a palazzo Chigi (tra cui anche una parte riservata all’Italia nel costruendo nuovo scudo stellare a difesa di missili mediorientali, come ha fatto capire anche D’Alema).
E dunque, come hanno tenuto a far sapere le fonti diplomatiche della presidenza del Consiglio, clima «cordiale e rilassato». Anzi, «un certo calore» tra i due che a pranzo - mezze maniche con bottarga particolarmente apprezzate dall’ospite, spigole in salsa di telline e mousse di agrumi e fragoline di bosco - dopo aver scherzato sui problemi con le rispettive opposizioni, pare abbiano trovato un terreno di piacevole e reciproco dialogo su un terreno che li accomuna da tempo: la bicicletta. «Quanti chilometri fai l’anno?» ha chiesto George a Romano. E il premier gli ha spiegato in lungo e in largo la preferenza per le stradine più discoste in modo da non avere appresso tutta la scorta. Un faccia a faccia utile, a quel che sembra. Chiuso dallo scontato invito a Washington privo però di data, visto che occorrerà consultare prima le rispettive agende di lavoro.
E poi tanto, tanto affetto, mostrato da George per «l’amico Romano che conosco da quando era presidente della Ue», ma anche per «il vecchio amico Silvio» che il presidente Usa si onora di frequentare. E per la capitale e l’Italia tutta. «Roma? Spettacolare. Chiediamo scusa per il disturbo provocato». I rapporti col vostro Paese? «Molto forti.
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